L’omicidio segna una drammatica svolta nella storia del “partito armato”: non era mai accaduto, infatti, che le Br uccidessero un “compagno”: da questo momento in poi, sarà la rottura definitiva fra i terroristi e il mondo operaio, che condanna aspramente il loro gesto. I brigatisti rimarranno sempre più soli fino alla loro sconfitta.
La colonna genovese delle Brigate rosse decise così di punire la “spia” Guido Rossa. La decisione era stata quella “soltanto” di gambizzarlo, ma i fatti si svolsero purtroppo diversamente. All’alba del 24 gennaio, tre brigatisti aspettarono Rossa sotto la sua abitazione e quando era già salito sulla sua Fiat 850, aprirono le porte e gli spararono quattro colpi alle gambe, lasciandolo ferito.
Ma il capo del gruppo di fuoco, Riccardo Dura, ad azione già conclusa, ebbe un ripensamento: tornò indietro e sparò freddamente un colpo al cuore al sindacalista, uccidendolo.
Guido Rossa, un bravo operaio e sindacalista, era stimato e benvoluto da tutti. Alpinista esperto e provetto fotografo, all’inizio di quel 1979 aveva 44 anni e lasciò la moglie e una figlia ancora adolescente. Ai suoi funerali, a Genova, partecipò una folla commossa di 250.000 persone e presenziò il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Fra i tanti omicidi delle Brigate rosse, il suo è tra quelli che hanno suscitato maggiore indignazione nell’opinione pubblica. Due giorni dopo la sua morte, gli venne conferita la medaglia d’oro al valore civile alla memoria, per aver avuto il coraggio di denunciare i terroristi e aver pagato con la vita quella sua valorosa azione.