A spiccare i mandati di cattura fu il sostituto procuratore della Repubblica di Padova, Pietro Calogero. Pesantissime furono le accuse: dalla costituzione di banda armata all’ insurrezione armata contro i poteri dello Stato, nonché la partecipazione ad attentati, omicidi, ferimenti e sequestri di persona. Sostanzialmente, si accusava i capi di Autonomia Operaia di avere addirittura organizzato e diretto le Brigate rosse e orchestrato il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, avvenuto un anno prima.
Molto forte fu nei giorni seguenti l’impatto mediatico: i giornali uscirono con titoli a caratteri cubitali del tipo “Scoperti ed arrestati gli assassini di Moro” e lo stesso giudice Calogero, nel prosieguo delle indagini, chiese che l’inchiesta venisse fatta confluire in quella sul sequestro Moro.
Invece, gli arresti del 7 aprile 1979 portarono a celebrare due differenti processi, uno a Padova e l’altro a Roma. La sentenza di primo grado a Roma arrivò cinque anni più tardi e accolse gran parte delle accuse con pesanti condanne per tutti gli imputati (30 anni di reclusione per Negri). La sentenza di primo grado della Corte di Assise di Padova, invece, arrivò ben sette anni più tardi e si concluse con la condanna alla reclusione per più di 150 militanti di Autonomia Operaia.
Nelle sentenze di appello poi confermate dalla Cassazione alla fine degli anni Ottanta, per contro, la gran parte delle accuse venne a cadere, tutte le pene furono sensibilmente ridotte (la condanna per Toni Negri passò da 30 a 12 anni) e moltissime furono le assoluzioni. Il cosiddetto “Teorema Calogero”, secondo cui Autonomia Operaia era un’organizzazione terroristica direttamente collegata alle Br e pronta a guidare un’insurrezione armata contro lo Stato, sostanzialmente crollò.