In caso di errore durante il login ("Il form inviato non è valido"), dovete cancellare tutti i dati del forum dalle impostazioni del vostro browser (cookies, dati, cache). Provate anche prima il "cancella cookie" che trovate in basso in tutte le pagine del forum (icona cestino se siete in visualizzazione mobile) e poi a cancellare dalle opzioni del browser. Chiudete le schede e riavviate. Se ancora non riuscite, non avete cancellato tutto (fate una prova da altro browser o dispositivo, vedrete che funziona).

50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Fatti, eventi e personaggi
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7605
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Insight »

Gimli Il Nano ha scritto:
Insight ha scritto:Che la DC fra il 1945 e i primi anni Sessanta sia stata una continuazione del regime fascista, solo un po' più edulcorata e formalmente democratica, lo si sapeva benissimo... Non per niente nel '60 il governo Tambroni fu appoggiato dai missini...

La polizia di Scelba sparava sulla folla dei dimostranti e gli scioperi venivano soffocati nel sangue. Tutto questo evidentemente al signor Guareschi stava bene, visto che scriveva i manifesti elettorali per quella cricca di assassini mafiosi e finti democratici e si faceva beffe del popolo. Gli stava bene perché lui era un "buon borghese", di quelli grassocci, con la panza piena e l'orologio nel taschino del panciotto. Gli stava bene finché non hanno toccato lui...
Amico,
hai elencato una serie di affermazioni a dir poco discutibili per non dire, (almeno di alcune) che si tratta di plateali sciocchezze, che si possono giustificare solo tenendo conto della tua disinformazione relativa. Per ora ti rispondo solo ad una. Quando tu scrivi :" Tutto questo evidentemente al signor Guareschi stava bene, visto che scriveva i manifesti elettorali per quella cricca di assassini mafiosi e finti democratici e si faceva beffe del popolo. Gli stava bene perché lui era un "buon borghese", di quelli grassocci, con la panza piena e l'orologio nel taschino del panciotto", OLTRE CHE, appunto, disinformato, ti riveli ingeneroso. Guareschi tutto è stato tranne " "buon borghese", di quelli grassocci, con la panza piena e l'orologio nel taschino del panciotto". Quelli che rispondono a tale descrizione, con gli stalinisti si sono sempre accordati. Idem con patate, per coloro che corrispondono all'altra descrizione :" assassini mafiosi e finti democratici". Solo che, i "borghesi grassocci..etc", ci tengono a darsi arie da progressisti. I tipi come Guareschi e come, per esempio, un altro cattolico intransigente quale fu il Professor Luigi Gedda, erano dei tipi indigesti, per tali personaggi. Hai letto cosa scrisse, ai tempi della condanna il giornale vicino a tali "progressisti"? « [Guareschi] è falso e disonesto anche e soprattutto se i documenti fossero stati veri: perché il vero scopo di Guareschi è di gettare discredito su una parte di cattolici, quella che fermamente è rimasta antifascista e democratica». Premesso ciò; premesso che, per dare LECITAMENTE a qualcuno dell'"assassino" e/o (peggio ancora) del "mafioso", lo si può fare solo dopo una sentenza DEFINITIVA della Magistratura al riguardo; premesso anche tanto altro, ti immagini cosa sarebbe successo se il Fronte popolare avesse vinto quel famoso 18 aprile del 1948? Si tratta di uno scenario, che, proprio nei nostri '70, fu rievocato da Berlinguer. Il leader comunista, ringraziava quel Dio in cui non credeva, per la sconfitta di allora. Un governo delle sinistre sarebbe stato costretto a dover far sparare sulla folla dei dimostranti e soffocare nel sangue gli scioperi, in misura ben maggiore di quanto fatto da Scelba. Le ragioni della geo-politica (accordi di Yalta) avrebbero impedito all'URSS (salvo che non volesse rischiare, non dico la guerra mondiale, cui non penso si sarebbe giunti, ma almeno un peggioramento generalizzato dei rapporti, in specie commerciali, con l'Ovest) di intervenire. Pertanto, per cercare di "ricostruirsi una verginità" ANCHE con gli Americani, il minimo che questo governo doveva garantire era una pace sociale ad OGNI COSTO. Pace sociale che avrebbe avuto bisogno del beneplacito dei peggiori capitalisti. Ne riparleremo.

Io sono un disinformato e tu invece una specie di veggente che sa addirittura quello che sarebbe successo se... Ma pensa un po' quanto diversi siamo ;)
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
Gimli Il Nano
Settantiano guru
Settantiano guru
Messaggi: 891
Iscritto il: sab 24 feb 2018, 11:14

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Gimli Il Nano »

ANCORA SU GUARESCHI:
http://www.paologulisano.com/giovannino ... tianesimo/

1 Maggio 1908: a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma, nasce Giovannino Guareschi, che da quella fetta di terra in riva al grande fiume Po prese le mosse per diventare uno dei più grandi scrittori italiani del ‘900, uno scrittore del radicamento, che ha posto al centro della sua arte l’uomo concreto, la realtà quotidiana, facendola diventare la Poesia del Bello e del Buono. Uno scrittore che ha divertito, che ha commosso, che ha insegnato a più generazioni, che è stato ed è ancora un vero e proprio maestro di umanità, un maestro cristiano.
Tra le perle delle affermazioni che Guareschi fa pronunciare al Cristo Crocifisso cui don Camillo si rivolge, ci piace ricordare questa, che Gesù dice al pretone della Bassa, in “Il compagno don Camillo”: “L’eroismo del soldato di Cristo è l’umiltà e il suo vero nemico è l’orgoglio”.
Chissà se Guareschi si accorgeva di rieccheggiare i grandi santi del Medioevo, San Bernardo, San Francesco, in questa sua visione cavalleresca dell’impegno del cristiano nel mondo, senza macchia e senza paura?
Giovannino era venuto al mondo, dicevamo, in un momento e in luogo che imponevano un sobrio realismo. Era il 1908, il Primo maggio, quando nella grassa terra attorno al fiume Po, nacque Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi, figlio di Lina Maghenzani, maestra elementare del paese, e di Primo Augusto, negoziante di biciclette, macchine da cucire e macchine agricole. Nella casa natale dello scrittore aveva sede la Cooperativa Socialista locale. Giovannino, che diventerà da grande la voce più forte e più lucida dell’anticomunismo, decide di nascere in occasione della Festa dei lavoratori, mentre le bandiere rosse delle sezioni socialiste della Bassa si ammassano sotto le finestre della casa dove si odono i suoi primi vagiti. Il capo di quei rossi, tale Giovanni Faraboli, un omaccio alto e massiccio come una quercia, entra in casa, e decide di mostrare al popolo lavoratore quel bambino che sicuramente, essendo nato il primo maggio, sarebbe stato destinato a diventare un campione della causa socialista. Giovannino avrebbe poi scritto che “anni e anni passeranno carichi di travaglio da questo primo maggio, ma intatto mi rimarrà nella carne il tepore delle mani forti di Giovanni Faraboli.”(da Chi sogna nuovi gerani?, a cura di Carlotta e Alberto Guareschi, Rizzoli, Milano, 1993)
Giovannino Guareschi è autore strettamente legato alla sua terra, ai suoi umori, alla sua civiltà, al suo genius loci. Sembra un paradosso che uno scrittore dalla profonda religiosità sia nato in una terra ben nota per la sua innata vis polemica nei confronti della Chiesa. Strana storia, quella dell’anticlericalismo emiliano-romagnolo. C’è forse una spiegazione: al momento dell’unificazione d’Italia, il governo sabaudo decise di usare la mano pesante nei confronti di quelle regioni dove la fede cristiana era profondamente radicata, che erano state da sempre un fiore all’occhiello del papato e della cultura cristiana, come l’Emilia e la Romagna. Quest’ultima in particolare era stata nei primi dell’800, ai tempi dell’invasione napoleonica una sorta di Vandea italiana, con una resistenza fortissima alle empie truppe giacobine che profanavano le chiese e innalzavano gli “alberi della libertà”. Le popolazioni romagnole avevano difeso strenuamente e ovunque, da Lugo a Rimini fino al Montefeltro, la fede dei loro padri, le reliquie dei loro santi, le antiche tradizioni locali di libertà. L’Italia di Cavour applicò al nuovo Stato le leggi anti-religiose che erano già in vigore nel vecchio Regno di Sardegna, in particolare la Legge 29 maggio 1855 che metteva fuori legge e ne espropriava i beni numerosi ordini religiosi. Tali leggi che rappresentavano uno degli aspetti più vergognosi dal punto di vista del Diritto del nuovo Stato trovarono la loro più completa applicazione il 7 luglio 1866 quando il Regno d’Italia abolì tutti gli ordini religiosi e ne confiscò i beni. Il provvedimento sarebbe stato poi esteso a Roma dopo la sua conquista con la Legge 19 giugno 1873. Non più francescani nella terra di San Francesco, non più domenicani in quella Bologna che era diventata la patria d’adozione di San Domenico, e che da loro aveva visto nascere nel Medioevo una delle prime e più prestigiose università del mondo, e che ora era passata nelle mani della Massoneria. Niente più carmelitane o clarisse, niente gesuiti, niente benedettini nella terra stessa del patrono d’Europa.
L’Italia nasceva rinnegando la propria stessa storia, disconoscendo la tradizione dei santi, dei maestri di fede e di cultura, abbandonando la propria tradizione millenaria. Nello Stato liberale, per quanto paradossale ciò possa sembrare, è lo Stato l’unico detentore della libertà, facoltà di cui fa uso e abuso nei confronti dei sudditi. Eppure ancora Mazzini in quegli anni proclamava che l’abolizione del potere temporale della Chiesa avrebbe portato all’emancipazione delle menti umane dall’autorità spirituale. In sostanza il carattere di questa unificazione fu quello di conflitto anti-cattolico.
L’Emilia e la Romagna, che erano state una sorta di Vandea italiana, subirono durante la rivoluzione risorgimentale la vendetta dei nuovi giacobini, attraverso un durissimo trattamento “rieducativo” da parte dei nuovi padroni liberali; se la massiccia propaganda ideologica antireligiosa, che trovò i consueti appoggi dalla Massoneria che aveva il proprio centro di irradiazione a Ravenna, potè ottenere l’allontanamento del popolo dalla fede, non riuscì mai ad averne il pieno consenso, e questo può spiegare perché le papiste Emilia e Romagna divennero la culla del Socialismo, del Comunismo e dell'Anarchia: meglio rossi che liberalmassoni, pensò il popolo, che percepiva nella ribellione sociale una rivalsa contro quel potere che gli aveva tolto Dio e lo aveva reso servo sulla propria terra.
Giovannino Guareschi, cattolico a tutto tondo e di sicuri sentimenti anti-comunisti, ha descritto in modo impareggiabile nei suoi capolavori della saga di “Mondo Piccolo” questa religiosità profonda dell’anima emiliana, che anche nel caso del comunista Peppone viene a galla allorquando le sovrastrutture ideologiche imposte dalla propaganda di partito vengono meno davanti ai richiami della coscienza cristiana, risvegliata spesso da Don Camillo.
E’ dunque in questa Emilia che Giovannino muove i primi passi della sua vita. A sei anni lascia il paese natale per recarsi in città, a Parma. Sua madre infatti, di professione maestra, è stata trasferita a Marore, un paesino confinante con Parma. Il padre è un uomo che spesso si trova a cambiare lavoro, vivendo commerciando con poca fortuna. Un uomo con tanti sogni, ma che sembra incapace di affrontare con successo la vita, finisce vittima di personaggi furbi e con pochi scrupoli, si insabbia nei debiti, Un Don Chisciotte simpatico, un po’ guascone, forse troppo buono. Un fallito, per il mondo. La famiglia di Giovannino soffrirà di questa situazione. Lo stesso scrittore guarderà con imbarazzo a questo padre che definirà “squinternato”, salvo rendersi conto – anni dopo – che c’era della vera grandezza in questo uomo sempre sconfitto, e che comunque non stava a lui giudicarlo e condannarlo.
Riscoprire Guareschi vuol dire riscoprire l’uomo e tutta la sua opera: oltre ai numerosi racconti del ciclo di Mondo piccolo – quelli di Peppone e Don Camillo – ci sono i romanzi: quelli dell’anteguerra (la scoperta di Milano; Il destino si chiama Clotilde; Il marito in collegio) e quelli che seguirono gli anni delle vicende belliche, che furono anche vicende tragiche per Giovanni Guareschi, il quale venne internato due anni nei lager nazisti. Tornato a casa dalla sua famiglia, ricominciò a scrivere, raccontando quello che aveva vissuto sotto forma di testimonianza storica ma anche di racconto.
Nacque quel “Mondo Piccolo” che è un riflesso del mondo grande, come egli descriveva nell’introduzione a Don Camillo: “Il piccolo mondo del Mondo piccolo non è qui però: non è in nessun posto fisso: il paese di Mondo piccolo è un puntino nero che si muove assieme ai suoi Pepponi e ai suoi Smilzi, in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino: ma il clima è questo. Il paesaggio è questo, e in un paese come questo basta fermarsi nella strada e guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia”.
Questo sano realismo proveniva dalle salde radici cristiane di Guareschi. Sottolineare questo aspetto non significa voler piantare un’etichetta o una bandiera sopra l’opera dello scrittore emiliano, ma vuole semplicemente rilevare tutto lo spessore della sua arte, che ovvero riconoscere la fonte di origine.

Paolo Gulisano
G.K. Chesterton : "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7605
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Insight »

Grazie, anni 70 puri :)
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
Gimli Il Nano
Settantiano guru
Settantiano guru
Messaggi: 891
Iscritto il: sab 24 feb 2018, 11:14

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Gimli Il Nano »

ANCORA SU GUARESCHI 2:
Guareschi, l’intellettuale di razza
contro la razza degli intellettuali
di Alessandro Gnocchi
Pubblicato il 26 giugno 2019 sul sito
“Ricognizioni”
Per concessione dell’editore Rizzoli, pubblichiamo la prefazione di Alessandro Gnocchi al volume di Giovannino Guareschi L’Italia sulla graticola. Scritti e disegni per “il Borghese”(1963-1964).
A conti fatti, sono tre le prigionie attraverso cui è passato Giovannino Guareschi nei suoi sessant’anni di vita. Quella dei lager tedeschi, dal 1943 al 1945, che affrontò con il preciso programma di non morire neanche se lo avessero ammazzato. Quella della galera italiana, dal 1954 al 1955, in cui si fece rinchiudere spiegando che, per rimanere liberi, bisogna a un bel momento prendere senza esitare la via della prigione. E poi quella senza reticolati e senza sbarre, fatta di silenzi, reticenze e censure, che la politica, naturalmente democratica e antifascista, gli costruì attorno nell’ultimo decennio della sua vita con la complicità dell’apparato culturale di riferimento.
Nella prima entrò da soldato per mantenere fede al giuramento di ufficiale del regio esercito italiano. Ne uscì dopo aver scoperto che il vero Giovannino era quello della totale fiducia nel Padreterno e nella sua Provvidenza, così timoroso di trovarsi nuovamente impigliato nelle lusinghe del mondo da scrivere nel Diario clandestino: «Buon Dio, se deve essere così, prolunga all’infinito la mia prigionia, non togliermi la mia libertà».
Nella seconda entrò da giornalista, condannato per la pubblicazione di due compromettenti lettere autografe di Alcide De Gasperi di cui mai fu dimostrata la falsità.
Prese la via del carcere senza ricorrere al secondo grado di giudizio. No, niente appello, titolò sul «Candido» il pezzo in cui spiegava la sua scelta, dicendo che non si trattava di riformare una sentenza, ma un costume. Dopo 409 giorni di galera, uscì segnato per sempre nel fisico e nel morale, ma capace di non odiare nessuno, come il Giovannino tornato dalla prigionia in Germania.
Nella terza, entrò da intellettuale. La definizione non è di quelle che amava perché alle persone perbene piace poco la razza degli intellettuali, ma bisogna pure che qualcuno cominci a usarla per riconoscere il valore di quanto quest’uomo pensò, scrisse e fece nei vent’anni tra il 1948 e il 1968. Serve solo precisare che Guareschi non apparteneva alla razza degli intellettuali che vivono in branco e sono organici a un potere o a un contropotere [...] Da quest’ultima prigionia Giovannino uscì per andare a riposare al cimitero delle Roncole, il 24 luglio 1968, con la sua Messa, il suo stemma, i suoi figli, la sua gente, tutta roba scartata da sistema e antisistema. Anche fin lì ci arrivò senza aver odiato nessuno.
Il Guareschi del «Borghese», quello che mise l’Italia sulla graticola, è il Guareschi della terza prigionia, la più feroce. Durante le prime due, nei lager tedeschi e nella galera italiana, era riuscito a vivere la vocazione alla clandestinità, la capacità di «vivere senza menzogna» cara a Solženicyn, che l’intellettuale di razza esercita quando gli altri si rassegnano anche al solo silenzio connivente.
Il Diario scritto lassù in Polonia e in Germania, la sopravvivenza del «Candido» assicurata nonostante la reclusione nel carcere di Parma ne sono la testimonianza. Poi i reticolati e le sbarre furono sostituiti da un’indifferenza creata su misura per far evaporare la clandestinità al pallido sole di un’ostentata tolleranza del potere e del contropotere.[...]
Gli anni della collaborazione di Guareschi con il settimanale di Mario Tedeschi e Gianna Preda, dal 1963 al 1968, erano quelli in cui politica, religione, economia, cultura, morale portavano a maturazione il grande compromesso e ne furono segnati.
Sul finire del 1963 Aldo Moro varò il primo governo di centrosinistra con socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Dall’anno precedente, a Roma, era in corso il Concilio Vaticano II, dal quale la Chiesa, entrata cattolica e avversa alla modernità, sarebbe uscita ecumenica e abbracciata al mondo.[....]. Parlamento e Chiesa, editori e premi letterari, cinema e musica, scuola e costume, tutto si buttava a sinistra respirando quell’aria di Sessantotto che aveva iniziato a spirare molto prima del Maggio francese.
Il mondo cosiddetto conservatore procedeva nella stessa direzione, limitandosi a innestare una marcia più lenta, salvando un po’ di apparenza e qualche rendita. Una forma di bigottismo dal discreto appeal in un Paese cattolico e poco incline alle rivoluzioni come l’Italia, il cavallo di Troia perfetto per traghettare a sinistra i consensi raccolti a destra. Resisteva solo chi aveva le idee chiare e quella vocazione alla clandestinità che di un prete fa un prete di razza, di un politico fa un politico di razza, di un intellettuale fa un intellettuale di razza e di un fedele, un cittadino, un lettore fa un fedele, un cittadino, un lettore di razza.
Dopo la chiusura del «Candido» nel 1961, Guareschi trovò nel «Borghese» il luogo in cui difendere a suo modo quella razza in estinzione: 172 articoli e 217 vignette in sei anni.[....]
Il nuovo mondo annunciato era inquietante: «Quando la confusione avrà raggiunto l’intensità sufficiente, avremo il trionfo completo e clamoroso del Regime e non potremo nemmeno raccomandarci l’anima a Dio per non correre il rischio d’essere accusati di eresia. Il momento si avvicina. Non per niente, col beneplacito e i quattrini della Autorità Religiosa, hanno commissionato un film sul Vangelo a P.P. Pasolini».
[.....]. Neanche gli uomini di chiesa più sinceramente ostili alla deriva progressista avevano compreso la natura del fenomeno e le sue ramificazioni. Pensavano che bastasse l’opera di qualche uomo di fiducia per evitare alla Democrazia cristiana di finire nelle braccia del Partito comunista e che fosse sufficiente trovare i presidenti giusti per evitare alle conferenze episcopali di deragliare. Non bastava.
Nel mondo cattolico era già in atto una divisione che pochi vedevano e nessuno osava denunciare. Lo fece lui, in splendida solitudine, il 14 novembre 1963 titolando “Le due Chiese” un inesorabile capitolo della rassegna periodica “Il Bel Paese”: «Bisogna purtroppo prendere atto che esistono due Chiese cattoliche: la Chiesa della Chiarezza e la Chiesa dell’Ambiguità. La prima è conosciuta come Chiesa Martire (un tempo era detta Chiesa del Silenzio) e il suo simbolo vivente è il Primate d’Ungheria Cardinale Mindszenty. La seconda è la Chiesa simboleggiata da quei Vescovi italiani che, nell’imminenza del varo del nuovo centrosinistra cattolico-marxista, ha lanciato ai cattolici italiani il famoso Messaggio che può essere interpretato in almeno quattro modi. […] La furberia di condannare il comunismo “ateo” permette di pensare all’esistenza di un comunismo “non ateo” e, quindi “buono”. L’astuzia di non parlare mai di marxismo per non dar fastidio ai marxisti rossi di Nenni e ai marxisti bianchi di La Pira, Sullo eccetera è sottilissima. Il Messaggio dei Vescovi italiani pare scritto non da autorevolissimi Ministri della religione di Cristo, ma da un qualsiasi Moro che impugnasse, al posto della penna, un’anguilla viva».
Gli occhi dell’intellettuale di razza avevano visto il grande inganno, quella sorta di monopartitismo imperfetto in cui preti e comunisti, clericali e anticlericali, maggioranza e opposizione, industriali e sindacati reggevano tutti lo stesso, redditizio sistema. La denuncia guareschiana del compromesso arrivò fino a mettere in discussione i vertici del sistema politico e, ancora più radicalmente, di quello ecclesiale.
Il 4 aprile 1963, nella lettera aperta al cardinale ungherese Jósef Mindszenty, rifugiato nell’ambasciata statunitense di Budapest per sfuggire alla persecuzione del regime comunista, scriveva: «Eminenza, apprendiamo che quattro K si sono coalizzati per convincerLa a uscire dal Suo rifugio e ad abbandonare l’Ungheria. E i quattro K sono Kruscev, Kennedy, Kadar e il Cardinale Koenig. Abbiamo letto sui giornali che Le verranno rivolte allettanti offerte: grazie all’interessamento di monsignor Capovilla, le Alte Gerarchie della Chiesa si impegnano a procurarLe una bella stanza con bagno e un buon impiego nella Biblioteca Vaticana. Noi La imploriamo di non abbandonare il Suo posto. In questo cupo periodo d’involuzione e di compromesso, noi cattolici d’Occidente guardiamo a Lei come a un faro che splende nella tempesta. Lei è la nostra luce. Lei è la nostra speranza. Lei è il simbolo della Chiesa Martire e vittoriosa. Della Chiesa di Cristo, che non accetta compromessi, perché si è con Dio o contro Dio e non esiste via di mezzo».
Era solo la premessa di un ragionamento che sarebbe giunto a conclusione sulle colonne del «Borghese» tre anni più tardi in una “Lettera a don Camillo”. «Lei ha il sacro terrore d’una divisione fra i cattolici. Ma, purtroppo, esiste già», avrebbe detto allora Guareschi al parroco di Mondo piccolo. Aggiungendo poi come sarebbe stato bello se il conclave, invece di eleggere papa il cardinale Montini, avesse eletto il cardinale Jósef Mindszenty. Il cattolico Guareschi non esitava a mettere da parte la figura di Paolo VI dicendo che per lui, e tanti altri cattolici refrattari alle nuove mode, il vero papa si chiamava Giuseppe, Mindszenty, appunto. Il papa dei fedeli che provavano disgusto davanti alle macchinette distributrici di ostie, alla tavola calda messa al posto dell’altare, alle messe ye-ye e ai patteggiamenti con gli scomunicati senza Dio. Intanto, l’apparato ecclesiale e i cosiddetti conservatori stavano ancora cercando di capire cosa fosse accaduto. Non che fosse facile vederci chiaro. Nella trappola del cattolicesimo con uso di compromesso era caduto anche Guareschi durante le elezioni del 1948. Lo mise nero su bianco l’11 aprile 1963 in un pezzo magistrale titolato “Autocritica”, che iniziava con una citazione: «Collega Togliatti, […] la civile convivenza che voi proponete e noi volentieri accettiamo, costituisce in confronto al passato un notevole progresso, che potrà farci incontrare più spesso lungo l’aspro cammino che dovremo percorrere per il riscatto del popolo italiano… Ma lassù sull’erta, e mi pare di vedere con gli occhi della Fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’egli israelita come Marx: duemila anni fa egli fondò l’internazionale basata sull’uguaglianza, sulla fraternità universale, sulla paternità di Dio e suscitò amori ardenti, eroismi senza nome, sacrifici fino all’immolazione…».
Erano parole di De Gasperi, quelle del discorso del 28 luglio 1944 al Teatro Brancaccio di Roma. Guareschi le conosceva benissimo, ma nella campagna elettorale del 1948 scelse ugualmente, lui monarchico, di sostenere la Dc, il partito di centro che, nel dichiarato disegno degasperiano, era in marcia verso sinistra. «Mea culpa. Anche io ho la mia grossa parte di responsabilità nella diffusione dell’equivoco che ha portato l’Italia alla tristissima situazione odierna. Sì, anche io ho validamente collaborato a ingannare la pubblica opinione presentando la Democrazia cristiana come l’unico schieramento politico in grado di costituire un valido argine contro il comunismo. […] Mea maximaculpa. […] La Dc acquistò nel 1948 il diritto ad avere dei voti che non le spettavano e, in nome del famigerato argine, coi voti delle destre la Dc è arrivata alla svolta a sinistra e a un programma comunista. Parlando in nome della Religione, della Chiesa, della democrazia, della libertà insidiate dal marxismo ateo, la Dc è arrivata a chiedere spudoratamente voti per attuare un regime in combutta coi marxisti. Mea culpa».
L’intellettuale di razza aveva compreso che l’anticomunista di professione aveva bisogno del comunismo per nutrire la sua esistenza politica, così come l’antiprogressista di professione aveva bisogno del progressismo per nutrire la sua esistenza ecclesiale. L’uno e l’altro vivevano dei privilegi di una battaglia che in realtà non combattevano pur traendone un’indecente immunità: «Sono più pericolosi i comunisti bianchi che i comunisti rossi perché, mentre i rossi rubano e pestano in nome dei diritti del popolo lavoratore, i bianchi rubano e pestano in nome della Giustizia di Dio e, perciò, se uno si difende, rischia di passare per un eretico e di venir lapidato».
L’acribia con cui Guareschi ha trattato questo argomento in un quadro più vasto, fatto di rigore, onestà e intelligenza, ha un solo paragone nel panorama italiano: Leonardo Sciascia, un altro raro caso di intellettuale di razza, così poco collettivo da trovare più ostilità che comprensione. Se si pensa a romanzi come Il giorno della civetta, A ciascuno il suo, Todo modo, Il contesto, si comprende veramente perché lo scrittore siciliano denunciò i «professionisti dell’antimafia» nel pezzo memorabile uscito il 10 gennaio 1987 sul «Corriere della Sera». [....] Non gli si perdonava di aver eccepito sul metodo con cui veniva applicato il concetto di antimafia. E, addirittura, di aver mostrato come tale concetto fosse sufficiente a se stesso, al punto di autoalimentarsi e regolare dispoticamente l’azione di coloro che lo avevano coniato. Da strumento, spiegava Sciascia, era divenuto valore fondante del potere: «Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno, molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia cristiana: et pour cause, come si è tentato prima di spiegare».
Non si poteva trovare forma più scandalosa per denunciare il meccanismo perverso di un potere fondato sul prefisso «anti». Qualunque entità si metta al riparo della terroristica parolina non sarà tenuta a rispondere d’altro che della propria sopravvivenza prescindendo totalmente dalla realtà. Qualunque critica verrà sempre ridotta al revanscismo dell’odioso concetto a cui l’«anti» si oppone. E così, come da copione, Sciascia fu costretto a sopportare l’accusa di essere colluso con la mafia, lui che per primo ne aveva descritto la natura e la struttura.
Guareschi, allo stesso modo e svelando gli stessi meccanismi, mise villanamente il dito nell’occhio dell’anticomunismo di regime, che aleggiava in gran parte dentro quella Democrazia cristiana che tanto inquietava Sciascia. Non a caso, come lo scrittore siciliano fu accusato di rendere simpatica la mafia a causa del sicilianissimo don Mariano Arena nel Giorno della civetta, lo scrittore padano, fu accusato di rendere simpatici i comunisti a causa del padanissimo Peppone di Mondo piccolo.
Ma, a conti fatti, la premiata ditta Comunisti&Anticomunisti non aveva compreso che l’intellettuale di tale razza, quello che preferisce la durezza della verità alla tentazione del potere, ovunque venga rinchiuso continua a essere un uomo libero.
G.K. Chesterton : "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7605
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Insight »

Che senso abbia fare copia incolla da altri siti proprio non lo capisco. Oltretutto di articoli chilometrici che c'entrano col nostro decennio come i cavoli a merenda. L'effetto è piuttosto disturbante... em_neutral
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
avvocato
Settantiano entusiasta
Settantiano entusiasta
Messaggi: 191
Iscritto il: mer 9 ott 2013, 13:29

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da avvocato »

La grandezza di Guareschi è totale e assoluta: in carcere nei lager nazisti, nella democratica Italia, per amore della libertà, si fece incarcerare per diffamazione senza proporre appello.
Una vergogna giudiziaria (una delle tante) per il nostro Paese che lo scrittore italiano più letto nel mondo sia stato messo in galera senza la minima tutela.
E dire che gli sarebbe bastato pochissimo per evitarla: togliattianamente parlando (mutuando Vittorini), sarebbe stato sufficiente che lui suonasse il "piffero alla rivoluzione". Non lo fece e non lo volle fare, nonostante i suoi scritti fossero afflati di puro talento e libertà e nonostante il suo soggetto più riuscito, l'Onorevole Peppone (scritto da lui monarchico!) fosse un comunista di una bononìa, di una simpatia e di una umanità senza pari, così onesto che la sua figura è giovata al PCI più di qualunque comizio di Togliatti e Longo.

Ciao Giovannino, che il tuo esempio continui ad ispirarci, ora che, più che mai, ne abbiamo bisogno.
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7605
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Insight »

Sì, e come mai non ha scritto lui "Se questo è un uomo", allora, visto che era un così grande scrittore ed è stato nei lager nazisti...
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
Gimli Il Nano
Settantiano guru
Settantiano guru
Messaggi: 891
Iscritto il: sab 24 feb 2018, 11:14

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Gimli Il Nano »

Insight ha scritto:Sì, e come mai non ha scritto lui "Se questo è un uomo", allora, visto che era un così grande scrittore ed è stato nei lager nazisti...
Senti,
quando leggo testi come le tre righe di cui sopra, debbo fare uno sforzo sovrumano, per non risponderti "alla romanesca".
G.K. Chesterton : "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
Gimli Il Nano
Settantiano guru
Settantiano guru
Messaggi: 891
Iscritto il: sab 24 feb 2018, 11:14

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Gimli Il Nano »

Gimli Il Nano ha scritto:
Insight ha scritto:Sì, e come mai non ha scritto lui "Se questo è un uomo", allora, visto che era un così grande scrittore ed è stato nei lager nazisti...
Senti,
quando leggo testi come le tre righe di cui sopra, debbo fare uno sforzo sovrumano, per non risponderti "alla romanesca".
Comunque, il suo "Se questo è un uomo", lo ha scritto.
Si intitola . "DIARIO CLANDESTINO".
https://it.wikipedia.org/wiki/Diario_clandestino

Diario Clandestino 1943-1945 è un'opera scritta da Giovannino Guareschi, pubblicata nel dicembre 1949 (prima edizione) ed in seguito più volte ristampata.

Dedicata "Ai miei compagni che non tornarono", l'opera è stata pensata e scritta, tranne l'Appendice, durante la prigionia dell'autore nel campo di concentramento di Sandbostel. Molto spesso brani del diario, dal tono a tratti umoristico, a tratti commovente, venivano letti direttamente dall'autore ai compagni di prigionia.

Dopo la liberazione ad opera degli inglesi, Guareschi riuscì a portare a casa i suoi magri quadernetti e a farli pubblicare da Rizzoli nel 1949. La copertina, che raffigura un malinconico soldato italiano con le fattezze dell'autore, è stata disegnata dallo stesso Guareschi.

"Dovunque guardi, sullo sfondo scopri la torretta, vigile e onnipresente come l'occhio di Dio. Di quel Dio che -essi dicono- è con loro, e che è molto diverso dal nostro, e che ha un nome misterioso e grottesco: Gott" (15 gennaio 1944)

Nella memorialistica degli internati militari italiani (oltre cento opere), il diario di Guareschi fu quello che ottenne più successo di pubblico.
G.K. Chesterton : "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7605
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 50 anni fa ci lasciava Giovannino GUARESChI

Messaggio da Insight »

Un lager dove si poteva scrivere e raccontare barzellette ai compagni... Praticamente un Hotel 5 stelle rispetto ad Auschwitz. Questi libracci fanno più male che bene, perché fanno passare i lager nazisti per delle normali prigioni di guerra.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
Rispondi