Già apparso nel 1966 su una rivista letteraria, alla fine degli anni Settanta questo saggio di Norberto Bobbio entra nelle librerie e conquista il grande pubblico grazie al suo linguaggio semplice e divulgativo, al punto da divenire un classico, ristampato per ben quattro volte (l’ultima nel 1997).
L’argomento è drammaticamente interessante: nell’era atomica, per la prima volta nella sua storia, l’uomo, attraverso una o più guerre, potrebbe estinguere la sua stessa specie e compromettere l’abitabilità del pianeta o addirittura distruggerlo. Se paragoniamo il movimento della Storia a un immenso labirinto, allora, oggi più che mai, la minaccia di una guerra nucleare fa apparire la guerra stessa come una “via bloccata”: una strada che non possiamo percorrere per uscire da quel labirinto e far progredire la nostra specie.
E’ vero che Bobbio scrive questo saggio quando l’equilibrio politico mondiale si fonda sul “terrore”, sulla paura che una delle due Superpotenze prema i pulsanti delle rampe di lancio dei missili a testata nucleare; ma non si pensi che oggi, dopo la caduta della cortina di ferro e la fine della guerra fredda, il rischio di una guerra nucleare sia diminuito: autorevoli esperti affermano esattamente il contrario. I rapporti tra gli Stati Uniti, la Russia e la Cina sono notevolmente deteriorati e c’è inoltre il problema delle testate nucleari possedute da diversi Paesi dell’area mediorientale e orientale. Sicché, se anche ciò potrà sorprendere e non se ne parli abbastanza come se ne discuteva in passato, il rischio che negli anni che stiamo vivendo scoppi una guerra con uso di armi atomiche è addirittura più alto di quello esistente durante la crisi di Cuba del 1962.
Uscire dalla “via bloccata” è possibile. Bobbio, dopo aver esposto e preso le distanze dalle tradizionali correnti di pensiero “belliciste”, che giustificano la guerra o che addirittura la ritengono necessaria o giusta, effettua un lungo excursus delle diverse dottrine che, al contrario, affermano la necessità della pace per il progresso umano e sociale; e individua, in particolare, tre diverse forme di pacifismo: quello strumentale, quello istituzionale e quello finalistico.
Il pacifismo strumentale agisce sui mezzi e si attua a sua volta in due diverse forme: quella del disarmo e quella della nonviolenza.
Il disarmo è una politica che mira ad eliminare o quanto meno a ridurre gli strumenti con i quali la guerra si realizza, ossia le armi. La nonviolenza costituisce uno stadio successivo a quello del disarmo, poiché si propone di sostituire gli strumenti della guerra con altri mezzi idonei a risolvere i conflitti, che escludono l’uso della violenza: resistenza passiva, disobbedienza civile, obiezione di coscienza, dimostrazioni di massa, scioperi, boicottaggio economico, isolamento diplomatico, etc.
Il pacifismo istituzionale agisce sugli Stati e tende (tenderebbe) a realizzarsi anch’esso in due forme, questa volta pienamente alternative tra loro: la creazione di un super Stato o Stato mondiale, ossia una comunità universale in cui tutte le nazioni sono federate e ogni controversia viene appianata e risolta entro un unico sovraordinamento; oppure la creazione di società senza Stato, attraverso l’attuazione del socialismo: ciò sul presupposto che le cause scatenanti di tutte le guerre siano proprio l’esistenza degli Stati-nazione e il sistema capitalistico.
Il pacifismo finalistico agisce sull’uomo e mira a riformarlo. Anche questo tipo di pacifismo ha due manifestazioni diverse a seconda che si ritenga la guerra una deficienza morale oppure un’ inclinazione della natura umana. C’è dunque un pacifismo etico, che mira a migliorare l’uomo sul piano della sua morale, rieducandolo; e c’è un pacifismo biologico, che si propone di curare la natura umana su un piano scientifico: psicologico e sociologico. Il primo tipo di pacifismo finalistico vuole rieducare moralmente l’uomo, insegnargli che la guerra è sbagliata e che tutto ciò a cui essa mira può essere raggiunto con altri sistemi, pacifici. Il secondo tipo vuole addirittura curare l’uomo, correggere i suoi istinti che inclinano verso il male.
La concreta attuabilità di queste forme di pacifismo è inversamente proporzionale alla loro efficacia: più una di esse è attuabile e tanto minore è la sua efficacia, e viceversa.
Le forme più attuabili di pacifismo sono sicuramente quelle strumentali, in particolare quella del disarmo. Non è poi così difficile (ed è successo) che gli Stati, attraverso degli accordi bilaterali, raggiungano delle intese che prevedano la graduale dismissione degli armamenti. Senonché, quella del disarmo, secondo Bobbio, oltre ad essere la più attuabile, è anche la via meno efficace rispetto al fine dell’eliminazione della guerra: perché gli accordi sono transitori, spesso esistono soltanto sulla carta e anche quando sono vigenti si aggirano facilmente o, addirittura, segretamente non si rispettano. Gli accordi di disarmo oggi possono essere conclusi e siglati; e il giorno dopo violati.
La nonviolenza presenta un grado di attuabilità minore rispetto a quello del disarmo, ma un più elevato grado di efficacia. E’ sicuramente una strada che merita di essere percorsa e perfezionata, studiando altri sistemi di risoluzione delle controversie internazionali alternativi alla guerra. In particolare, Bobbio ritiene fondamentale che
si formi e si consolidi sempre di più in futuro una coscienza atomica, ossia il rendersi conto, da parte del maggior numero di persone possibile, che la pace non è un processo ineluttabile ma una conquista: e, come tutte le conquiste, essa può anche essere, una volta conquistata, riperduta.
Tuttavia, il grande limite della nonviolenza, per Bobbio, è che finora essa ha dimostrato di funzionare bene solo in certi contesti: per fare un esempio storico, essa ha rappresentato un efficace sistema di lotta nella liberazione dell’India, ma è certo che nessun effetto essa avrebbe sortito contro Hitler e la furia distruttrice del nazismo.
Il pacifismo istituzionale è molto meno realizzabile in concreto, però sarebbe senza dubbio più efficace sia del disarmo sia della nonviolenza.
La creazione di uno Stato mondiale molto probabilmente allontanerebbe i rischi di guerre: basti pensare a come oggi sia praticamente impensabile lo scoppio di una guerra tra le nazioni della Comunità Europea; le quali invece, in passato, hanno dato vita a due guerre mondiali disastrose. Lo stesso dicasi per la creazione di società senza Stato nell’attuazione della vera dottrina socialista.
Ma sono strade in concreto difficilmente realizzabili; oltre a ciò esse non sarebbero comunque idonee a garantire pienamente l’esistenza di una pace mondiale.
Il pacifismo finalistico è senza dubbio quello che risulterebbe efficace al massimo grado possibile: andando alla radice del problema, infatti, è evidente che la guerra è un fenomeno antropologico: se l’uomo cambiasse la propria natura e il proprio codice morale, migliorandoli, molto probabilmente il problema della guerra verrebbe risolto. Senonché, per Bobbio, è questa anche la forma di pacifismo meno realizzabile di tutte: egli non crede nel cambiamento e nel progresso morale dell’uomo. Pur restando nel campo delle astratte probabilità, è addirittura più facile che in futuro si abbia uno Stato universale o il socialismo in tutto il mondo, piuttosto che l’uomo progredisca moralmente o migliori le proprie inclinazioni naturali fino al punto da eliminare la guerra dal mondo.
Avere un mondo senza guerre non è impossibile da un punto di vista scientifico: eliminare la guerra dal pianeta, per quanto sia difficile, non è fantascienza né utopia. Basti pensare, per citare ancora una famosa frase di Norberto Bobbio, che se per assurdo tutti gli abitanti della Terra si mettessero a fare la danza della pioggia per risolvere il problema della siccità, certamente non si otterrebbe da ciò nessun cambiamento delle condizioni climatiche; ma se invece – sempre per assurdo – tutti gli abitanti della Terra manifestassero in maniera sincera e convinta contro la guerra, allora al mondo non ci sarebbero più guerre.