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Ragazzi al laccio

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Insight
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Ragazzi al laccio

Messaggio da Insight »

Un insegnante elementare e scrittore, fiorentino, nel 1972, sotto lo pseudonimo di Luciano Soldan, pubblicò un libro interessante, dal titolo “Ragazzi al laccio”.
Pensato per gli studenti delle scuole medie e superiori, il romanzo volle essere anzitutto uno strumento per affrontare il grave problema della droga, in quegli anni divenuto ormai una piaga sociale.
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L’intento fu squisitamente didattico, ma ne uscì un libro godibile e leggibilissimo da chiunque, costruito come un giallo, ambientato a Roma nei primissimi anni del decennio.
Protagonista è un ragazzo di vent’anni che ha appena finito il servizio militare ed è rientrato nella capitale. Gianni – questo è il suo nome – non sa assolutamente nulla della droga. Ma, suo malgrado, sarà il mondo della droga a irrompere improvvisamente nella sua vita svelandogli le trame oscure e drammatiche di cui si compone.

Infatti, Clara, la sorella minore di Gianni, ad appena sedici anni, muore davanti agli occhi increduli del fratello, vittima di un’overdose. La tragedia si verifica in un bar malfamato della capitale. E quando Gianni, vedendo la sorella crollargli tra le braccia, cerca di telefonare per chiamare un’ambulanza, viene aggredito e picchiato da alcuni avventori, che lo riducono all’incoscienza.

Il ragazzo si risveglia in un letto di ospedale dopo qualche giorno di coma, senza un occhio: i malviventi, infatti, lo hanno colpito al volto con una bottiglia, sfigurandolo.
A poco a poco Gianni si riprende e scopre che la sorella è morta a causa della droga. Uscito dall’ospedale, la sua unica ragione di vita diventa quella di trovare i delinquenti che hanno ceduto a Clara la dose fatale, per vendicarsi.

Inizialmente Gianni fa molta difficoltà ad accettare il fatto che Clara, la sua cara sorellina, era una tossicodipendente. Egli la considera soltanto una vittima, capitata nelle mani dei suoi carnefici per caso o per sbaglio. Il senso del libro è anche e soprattutto questo: una graduale presa di coscienza del protagonista, un viaggio nel mondo spietato della droga, dal particolare all’universale, fino alla scoperta che si tratta di un problema sociale, di portata enorme, intricato e complesso.

Improvvisatosi detective, Gianni indaga sulla vita di Clara, sulle sue amicizie e frequentazioni. La sua prima sconcertante scoperta è che la droga è dappertutto, ovunque ci sono i giovani, e dunque anche e soprattutto nelle scuole: ed è proprio a scuola che Clara ha iniziato a fumare hascisc quando aveva solo tredici anni...

Introducendosi sempre più nell’ambiente dei ragazzi, appena un po’ più giovani di lui, Gianni conosce, poco a poco, il mondo della droga. Partecipa a un’iniziazione facendo finta di drogarsi, impara il gergo dei tossicodipendenti, scopre gli “spinelli” e i “joint”, la differenza tra “droghe che fanno planare” (Marijuana, hascisc e oppio) e “droghe che fanno viaggiare” (Morfina, eroina, cocaina e anfetamine).
Scopre con amarezza che sua sorella era ormai una “genchi”, cioè irrimediabilmente intossicata, entrata a far parte del giro dell’eroina…

Con caparbietà Gianni, comportandosi come un vero e proprio infiltrato della polizia, riesce a individuare dapprima il piccolo spacciatore che ha venduto la dose fatale a Clara, per poi risalire via via la catena e scoprire il livello medio di quel mercato di morte, fino a giungere faccia a faccia con il grande importatore, un “colletto bianco”.

Ma ormai, arrivato alla fine dell’indagine, il suo desiderio personale di vendetta si spegne del tutto. Egli cercava un colpevole e invece ne ha trovati tanti, tantissimi, troppi. In primo luogo, per quanto possa essere difficile da accettare, è stata Clara stessa a uccidersi, perché la responsabilità più grande, a monte di tutto, è sempre di chi si droga.

Vi sono poi altri, diversi e molteplici, livelli di responsabilità, che si innestano inesorabilmente. Sono davvero molte le persone che hanno ucciso Clara e come lei tanti altri ragazzi e ragazze. La droga è un vero e proprio cancro della nostra società e gli uomini che procurano la morte ai ragazzi sono soltanto delle ruote - piccole, medie e grandi - di un ingranaggio immenso. Cercare le colpe singole non ha davvero senso, è questa l’ultima amara scoperta di Gianni.
***
Un altro libro “settantiano”, utile ma dimenticato, su un problema mai risolto e ancora – purtroppo – attualissimo. Saranno forse cambiate – in parte – le droghe, ma i modi in cui esse circolano, i luoghi dove si consumano e i motivi per cui tanti giovani, che ormai potrebbero essere i nipoti di Clara, continuano a drogarsi e a morire, credo che siano sempre gli stessi.
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RebekahMikaelson
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Re: Ragazzi al laccio

Messaggio da RebekahMikaelson »

Vedo che era una lettura scolastica, speriamo che abbia convinto almeno una parte di chi lo ha letto allora a non cadere in una trappola mortale o comunque distruttiva per corpo e mente.
Sì,le droghe di oggi sono diverse e molte più di quelle di "moda" nei '70 (pensa che c'è chi si sballa sniffando solventi, leccando funghi, bevendo deodoranti per ambienti, prendendo anestetici per animali...); una delle cose che mi sorprende è che allora ci fossero così tante persone che usavano eroina: inalare qualcosa o inghiottire una pillola è veloce e capisco che qualcuno, in preda allo sconforto o anche solo per non essere giudicato codardo dagli amici possa finire per provarci, ma farsi da soli un'endovenosa è tutt'altra cosa. I motivi più o meno sono sempre gli stessi, quelli che in tempi remoti portavano all'alcolismo: c'è chi cerca di stordirsi per dimenticare un dolore, chi vorrebbe farla finita ma non ne ha il coraggio e quindi sceglie di uccidersi poco per volta e infine quelli che lo fanno per moda o per poter fare tantissime cose in una sola giornata senza sentire fatica: se le prime due categorie posso farmi almeno in parte compassione e pensare che meritino aiuto, l'ultima invece no, soprattutto ai giorni nostri, con tutte le informazioni a cui abbiamo accesso fin da piccoli :(
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Re: Ragazzi al laccio

Messaggio da Insight »

Purtroppo pare che l'eroina negli ultimi anni sia tornata di "moda" :(

Comunque, direi che hai toccato il nocciolo della questione, una problematica che mi ha sempre affascinato: perché una persona si droga?

Tanto per restare in tema, io conosco due belle risposte che arrivano dal mondo intellettuale-letterario. La prima dal grande Lev Tolstoj, la seconda, in tempi molto più vicini a noi, e squisitamente settantiani, da Pier Paolo Pasolini.

Secondo Tolstoj, che ha esposto questa teoria nel suo saggio "Perché la gente si droga?" (1891), la questione va affrontata su un piano morale e personale. Ogni uomo ha dentro di sé, nella propria coscienza, una specie di "orologio" morale. Una delle lancette di questo orologio segna sempre "l'ora esatta", cioè il comportamento che ognuno di noi, nel proprio intimo, sa essere quello "giusto" e "perfettamente virtuoso". Naturalmente si tratta di una lancetta solo "virtuale", perché non esiste un uomo che sia perfetto dal punto di vista del comportamento etico.

Quindi, accanto alla lancetta virtuale, che segna sempre l'ora esatta, c'è quella reale, che indica invece il nostro vero comportamento, e che si sposta continuamente. Tanto più la lancetta reale si allontana da quella virtuale e tanto peggio vuol dire che noi ci comportiamo. Per esempio, se l'ora esatta è mezzogiorno e l'ora reale del nostro orologio interno segna mezzogiorno e dieci, vuol dire che tutto sommato non ci comportiamo tanto male :) Ma se invece comincia a segnare mezzogiorno e mezza o i tre quarti o l'una...Allora vuol dire che stiamo facendo qualcosa di molto sbagliato :(

Ma il "brutto" è che noi sappiamo sempre dentro di noi a che punto è il nostro orologio...E se la lancetta reale comincia a discostarsi un po' troppo da quella virtuale, ecco che iniziamo a preoccuparci... Inizia a roderci un tarlo dentro la nostra coscienza...E allora, che cosa facciamo noi, quasi inconsapevolmente? Cerchiamo di dimenticarci del nostro orologio interno... Non ci pensiamo più, tendiamo a rimuoverlo...

Ed ecco allora perché un uomo o una donna si droga: per dimenticarsi, per non pensare al proprio orologio morale interno che segna l'ora sbagliata...In altre parole, per dimenticare che si sta comportando male...
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Per Pasolini, invece, che si è occupato di questo argomento in alcuni articoli poi raccolti sia nel volume "Scritti corsari" che in "Lettere luterane", (1975 e 1976) il problema va invece ricostruito in termini socio-politici...

Secondo Pasolini i giovani degli anni Settanta si drogavano per un "vuoto di cultura", intendendo la parola "cultura" in senso molto ampio, come insieme dei propri punti di riferimento, dei propri valori e degli elementi della propria identità...

Lo sviluppo industriale incontrollato che ha, in pochissimo tempo, selvaggiamente distrutto le realtà particolari della campagna, assimilandole a quelle delle città, ha fatto sì che i ragazzi si siano trovati, praticamente da un giorno all'altro, da contadini a cittadini urbanizzati... E ciò ha comportato in essi un disorientamento, un vuoto di valori al quale molti di essi hanno cercato e cercano di ovviare drogandosi....
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Due risposte diverse ma ambedue molto affascinanti e che contengono, secondo me, del vero.
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