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Azzurro tenebra

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Azzurro tenebra

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I Mondiali di calcio del 1974, che si svolsero nella allora Germania dell’Ovest, rappresentano una delle pagine più nere della storia della nostra Nazionale: gli Azzurri, pur avendo nelle loro fila campioni blasonati come Gianni Rivera, Gigi Riva e Sandro Mazzola - gli eroi di “Messico ‘70” - furono eliminati al primo turno e tornarono mestamente a casa, sommersi dalle proteste dei tifosi e dalle aspre polemiche dei giornalisti.

Giovanni Arpino, scrittore, giornalista e cronista sportivo, grande appassionato ed esperto di calcio, in Germania c’era, insieme a tanti altri colleghi giornalisti, come inviato speciale della Stampa di Torino, e seguì la Nazionale nel suo infelice cammino verso l’eliminazione.
Azzurro tenebra”, pubblicato per Einaudi nel 1977, è la storia di quella bruciante sconfitta scritta magistralmente in forma di romanzo. Il resoconto amaro di una disfatta etica prima ancora che sportiva, in cui l’eliminazione degli Azzurri viene letta e rappresentata come sintomo evidente di una crisi assai più ampia di quella meramente calcistica. Quella sconfitta era il segno di una crisi politica, economica, morale e sociale che affliggeva il nostro Paese, sul quale peraltro stavano calando le tenebre lunghe e inquietanti del terrorismo…

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Protagonisti del romanzo sono i cronisti sportivi inviati dalle redazioni dei giornali in Germania, in quel lontano giugno del 1974, i calciatori della Nazionale, lo staff dei dirigenti tecnici e del management degli Azzurri, e i tifosi italiani: in gran parte immigrati che lavorano duramente lassù, nelle fabbriche tedesche, alle catene di montaggio delle Mercedes, delle Bmw e delle Porsche, e che vedono nei Mondiali un’occasione per riscattare il proprio orgoglio ferito, sperando ardentemente in una vittoria o almeno in una onorevole prestazione dei loro beniamini…

Abbiamo anzitutto “Arp”, il protagonista principale, che è lo stesso Giovanni Arpino, accompagnato dal giovane cronista “Bibì” (il collega Bruno Bernardi), che si comporta come il suo fedele scudiero (è evidente il richiamo a Don Chisciotte e Sancho Panza).

Sempre tra i cronisti svetta il “Grangiuàn”, che è Gianni Brera, maestro di giornalismo calcistico: in questo libro è un personaggio sarcastico, che commenta in maniera pungente gli errori degli Azzurri, con un linguaggio metaforico e allusivo.

Gli altri giornalisti sono divisi genericamente tra le “Jene” e le “Belle Gioie”. Le “Jene” sono i cronisti più cinici, che cercano sempre lo scandalo e sono pronti a gettare benzina sul fuoco ad ogni pie’ sospinto. Le “Belle Gioie”, invece, sono i giornalisti più ipocriti, che cercano sempre una scusa, un alibi per giustificare le sconfitte…

Tra i calciatori ci sono: il “Golden” (Gianni Rivera) e il “Bomber” (Gigi Riva), tra i principali accusati della disfatta. Il “Baffo” (Sandro Mazzola) e “Petruzzu” (Pietro Anastasi), che invece sono tra i meno colpevoli. Il “Giorgione” (Giorgio Chinaglia), protagonista di un bruttissimo episodio durante la prima partita. E ancora: “Romeo” (Romeo Benetti), “Fabio il Geometra” (Fabio Capello) e “Tarcisio la Roccia” (Tarcisio Burgnich).

Le uniche figure veramente positive tra i calciatori sono: “Giacinto” (Giacinto Facchetti), che è il capitano della squadra, e “San Dino” (Dino Zoff), il portiere. Questi soli, tra i giocatori, possono tornare a casa tranquilli, a testa alta, perché hanno fatto il loro dovere fino in fondo e dato tutto quello che potevano. Se non fosse che la sconfitta, essendo di dimensione collettiva, brucia anche a loro…

Tra i dirigenti spicca il “Vecio”, che è il viceallenatore, coprotagonista del romanzo insieme ad Arp e Giacinto: il “Vecio” è Enzo Bearzot, che rappresenta l’Italia “sgobbona”, che non ama i riflettori e crede ancora nei valori positivi dell’onestà, della lealtà, della serietà e del sacrificio di chi si impegna fino in fondo nell’assolvimento del proprio dovere.

C’è poi “Gauloise”, l’ex grande campione Carlo Parola, detto così per la marca di sigarette che fuma in continuazione, anche lui un simbolo positivo: del vecchio calcio, di quando i giocatori non erano ancora dei “divetti” con la pancia piena e giocavano onestamente, guadagnandosi la pagnotta o poco più.

Ancora: lo “Zio”, l’allenatore Ferruccio Valcareggi, un personaggio che sbaglia, ma forse meno responsabile di tanti altri: sembra più una vittima del sistema che un artefice della sconfitta.

E infine tutto l’entourage di dirigenti (sportivi e “politici”), a seguito della squadra (si tratta soprattutto di Artemio Franchi, Italo Allodi e Franco Carraro). Tra questi spiccano il “Manager” e il “Grande Capo Penna Bianca” (Gianni Agnelli), che ogni tanto telefona per lamentarsi.
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La storia ha inizio nei pressi del ritiro degli Azzuri, a Ludwisburg, nella Bassa Baviera. Fin dalle prime pagine, la sconfitta è nell’aria. Nonostante il solstizio d’estate, l’atmosfera è lugubre, autunnale. La temperatura è fredda e un sole pallidissimo stenta a farsi luce tra la nebbia.

A margine del campo di allenamento degli Azzurri, siedono su una panchina desolata due amici di vecchia data: Arp e il Vecio. Il dialogo è intriso di metafore che alludono alla preannunciata catastrofe. L’impressione è che tutti in realtà sappiano, nell’entourage azzurro, che andrà a finire male, molto male per quella squadra vecchia e stanca, piena di generali e senza alcun soldato semplice. Poco più in là, tuttavia, corre per allenarsi l’infaticabile Giacinto, uno dei pochi, forse, che crede nelle possibilità della squadra…

A ben vedere, la prima partita, contro Haiti, dovrebbe essere una passeggiata. Poi però ci saranno gli argentini, che picchiano duro, e soprattutto i polacchi, che invece sono fortissimi, corrono come lepri e giocano non per i miliardi (come i nostri), ma per un avanzamento di grado nei pompieri o nella polizia di Stato…

Giacinto e il Vecio, un po’, sotto sotto, ci credono; Arp in cuor suo spera, ma al contrario dei suoi due cari amici è molto disilluso: secondo lui non basteranno Giacinto e San Dino (il portiere prodigioso, che non subisce un gol da 1.097 minuti) a trascinarci in Paradiso…


Italia – Haiti 3-1

Nonostante il risultato, è già un preludio della disfatta. Contro gli haitiani si sarebbe dovuto giocare come contro una squadretta parrocchiale, invece il primo tempo finisce zero a zero e nella ripresa prendiamo addirittura un gol. Gli Azzurri non giocano. O meglio: giocano all’incontrario. Non aprono mai spazi, non fanno lanci lunghi, se ne stanno sempre paurosi nella loro metà campo, come se giocassero in un fazzoletto anziché in un campo di calcio. Nelle rare azioni di contropiede, tutti cercano sempre di servire il Bomber, che riesce a sbagliare almeno quattro palle-gol. Dalla tribuna dei giornalisti fioccano i commenti impietosi: “Qualcuno dovrebbe spiegare allo Zio cos’è il centrocampo…”.

Feriti nell’orgoglio, riusciamo a pareggiare grazie a un guizzo del Golden. Poi è una palla deviata per errore in rete da un haitiano, su un tiro di Romeo, a portarci in vantaggio.

Quando lo Zio sostituisce il Giorgione con Petruzzu, si verifica l’episodio più increscioso di tutto il Mondiale: il Giorgione uscendo dal campo fa un gestaccio verso la panchina.
Le Jene sulla tribuna dei giornalisti scattano in piedi e si fregano le mani: “Ha vaffanculato lo Zio! E’ la fine del mondo!” urlano divertite. Domani avranno tante belle cose da scrivere…

Infine è proprio un gol del neoentrato Petruzzu a regalarci la sicurezza della vittoria.
Abbiamo vinto la prima partita giocando malissimo e faticando contro degli avversari che avremmo dovuto massacrare. In più, uno dei tanti generali in azzurro si è permesso di fare un gestaccio all’allenatore, contravvenendo all’etica sportiva, sputando sul sacro codice d’onore secondo cui l’allenatore si rispetta sempre.

Il commento di fine partita del Grangiuàn è più che mai eloquente: “Abbiamo spezzato le reni ad Haiti. Abbattete le mura del pollaio per far passare i nostri eroi…”.
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Nei giorni seguenti, tanti dialoghi amari tra Arp, Bibì, il Vecio, Giacinto e Gauloise. Le Jene, invece, si scatenano sull’ “affaire Giorgione”, mentre le Belle Gioie cercano alibi.
C’è chi dice che il Giorgione sarà addirittura spedito a casa col primo aereo, perché insultando lo Zio ha mancato di rispetto anche all’intera squadra. Lo Zio, però, è un buono, uno che getta acqua sul fuoco. Alla tanto attesa conferenza stampa neppure si presenta, manda un portavoce al suo posto. Nonostante le Jene cerchino di fomentare il caos, tutto rientra. Il Giorgione chiede scusa, si dichiara pentito di aver ceduto al nervosismo. I dirigenti lo perdonano, anche se alla prossima partita resterà in panchina a scontare la sua colpa. Le Belle Gioie hanno le lacrime agli occhi per la commozione…


Italia – Argentina 1-1

Al Neckarstadion di Stoccarda, gremito di bandiere italiane come se giocassimo in casa, va in onda il secondo atto della tragedia. Mentre arriva la grama notizia che i polacchi hanno battuto gli haitiani per 7-0 (come avremmo dovuto fare noi) e che quindi ogni speranza di poter eventualmente contare su una qualificazione per differenza reti è infranta, gli Azzurri mostrano ancora una volta il loro gioco spento, senza cuore.

Il centrocampo è inesistente. “Centrocampisti: al telefono!” grida una Jena dalla tribuna. Il Golden è uno spettro, una candela. Gli argentini, pur giocando come dei filibustieri, la fanno da padroni e vanno presto in gol. Il povero San Dino deve subire il sacrificio.
Assai fortunosamente riusciamo a pareggiare: grazie a un autogol degli argentini.

Il resto della partita è sofferenza pura, con San Dino e Giacinto che ci salvano da una più nera catastrofe. Il Bomber gioca come se gli avessero rubato il cuore. Il Golden è “cotto”, con l’“anima vuota”, un uomo da “barellare”. Infatti lo Zio lo chiama fuori e per lui il Mondiale è finito: passa lungo il bordo del campo in mezzo ai flash dei fotografi. E’ un corridoio infernale per il grande campione: gli volano addosso le lacrime, le sciagure e le dannazioni dei tifosi.

L’unica vera occasione di fare gol l’abbiamo col Baffo, che con uno dei suoi tocchi sfiora il palo.
Bravo Baffo. Hai solo sbagliato squadra. Chiedi la cittadinanza polacca…” è il commento sarcastico del Grangiuàn.
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Dopo la partita c’è soprattutto lo sfogo dei tifosi, delusi e arrabbiati, che stracciano le fotografie del Golden e del Bomber e inveiscono contro i loro amati campioni.
La conferenza stampa è un farsa in cui lo Zio e i dirigenti recitano il mea culpa, le Belle Gioie cercano altrove le responsabilità (troppa pressione, lo stress, il freddo, l’isolamento degli Azzurri che non giova al loro umore…) e le Jene che provocano:

Sapete di essere la squadra più vecchia del Mondiale?”.
Il Golden, che ripete in continuazione di sentirsi bene, ha capito la differenza tra sentirsi bene e giocare bene?”.
Ma quante sigarette al giorno fuma il Bomber? A proposito, lo chiamano il Bomber e in questo Mondiale non ha ancora segnato un gol…”, e così via…

Lo Zio contro i polacchi non farà giocare né il Golden né il Bomber, come forse avrebbe dovuto fare prima, anziché assecondare i tifosi…Così dicono gli esperti.


Italia – Polonia 1-2

La disfatta finale, ancora al Neckarstadion di Stoccarda gonfio di tricolori italiani. Giocano Petruzzu e il Giorgione al posto delle due superstar.
Gli Azzurri a dire il vero si battono come mai prima di allora in questo Mondiale. Nei primi minuti Petruzzu, servito da un bel cross, viene atterrato in area da un polacco. Dovrebbe essere rigore per noi, ma l’arbitro non fischia. “Arbitro deutsch!” latrano le Belle Gioie in cerca di facili vittimismi.

Nella prima mezzora diamo il tutto per tutto, questo bisogna riconoscerlo. I polacchi sono molto duri e fallosi. Viene portato via in barella il povero Tarcisio la Roccia. “Ci decimano le vecchie glorie!” tuona rabbioso il Grangiuàn…

La Polonia è sempre in attacco e noi, dopo un inizio aggressivo, ci arrabattiamo in difesa. Quel Deyna è veramente immarcabile, sguscia via da tutte le parti, anche se il primo gol ce lo fa, beffardamente, un riservista, uno che al Mondiale non doveva neanche venire…

La grande occasione del pareggio sfuma miseramente. Il Baffo serve una palla d’oro al Giorgione…Anche un ragazzino dell’oratorio l’avrebbe insaccata nella porta vuota, invece lui riesce a scodellarla fuori…
Se quello zappasse salveremmo l’agricoltura…” commenta una voce impietosa in tribuna.
Non insultare i poveri bifolchi…” la riprende una Jena.
Rendetelo innocuo. Sparategli. O almeno rubategli le scarpe” grida indignato il Grangiuàn contro il Giorgione…

Poco prima della fine del primo tempo, becchiamo il secondo gol e la frittata è fatta. Le urla del Neckarstadion si trasformano in un unico e pauroso ululato di rabbia e dolore…

Nella ripresa, i polacchi giocano ormai nuotando nel burro, ed è solo grazie ai miracoli di San Dino e all’onesto e infaticabile lavoro di Giacinto (che “rischia” quasi di andare in rete pur essendo un difensore), se ci salviamo da una pioggia di gol…
Alla fine, il Geometra Fabio ci regala un goletto striminzito, ma praticamente nessuno se ne accorge….

La partita finisce in una baraonda di fischi e di insulti. Le Belle Gioie piangono e cercano sguardi di compassione, le Jene invece si scambiano occhiate d’intesa…
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In serata i tifosi assediano l’albergo degli Azzurri. Vorrebbero entrare, farli a pezzi. La polizia tedesca fatica a tenerli a freno. Sono operai, meccanici delle fabbriche e lavapiatti che sgobbano nei ristoranti. “Va bene perdere, ma giocare in quel modo, senza cuore, senza onore, senza anima, senza orgoglio…Con tutti i soldi che prendono…E noi domani mattina a faticare lontani da casa…Non è giusto…”.


Le finestre dei piani alti dell’albergo si spalancano e una pioggia di cravatte scende giù. Sono quelle di rappresentanza degli Azzurri, sono centinaia…E dopo le cravatte, cadono giù bandiere, bandierine, cartoline e tanti altri gadget…Persino cibo in abbondanza, confezioni di formaggio grana…
Qualche mano previdente ha pensato così di calmare i tifosi, regalando loro quegli oggetti che rappresentano la squadra, gettandoli dalle finestre…Invece, tutto quello spreco, quella sovrabbondanza inutile, è la riprova del male che affligge la nostra Nazionale e l’intero sistema del calcio italiano.

Ad ogni modo, quei “pezzi d’Azzurro” che precipitano dalle finestre e piovono sulle teste dei tifosi arrabbiati sono un’immagine emblematica della decadenza, della tenebra che avvolge la squadra italiana e con essa tutto il nostro Paese.
***
Una lettura molto amara. Ho provato pena per i tifosi immigrati, per la loro delusione, ma anche, sinceramente, una certa compassione per gli Azzurri. Non sarei stato, evidentemente, un buon giornalista sportivo, a quei tempi sarei finito tra le “Belle Gioie” …

Questo libro, tuttavia, come ho scritto in apertura, non parla solo di calcio, ma di tante altre cose. Parla della parte buia dell’Italia di quegli anni, che indubbiamente c’era, anche se a noi, ora, quegli anni piacciono tanto: soprattutto, io credo, perché eravamo bambini o ragazzi. Ognuno ama i suoi anni giovani, questa è la verità. Chi è stato bambino o ragazzo negli anni Quaranta riuscirà a ricordare con piacere persino quel terribile periodo della guerra…E così, forse, accade anche a noi. Libri come Azzurro tenebra, allora, ci possono essere utili per capire, almeno in parte, come erano veramente gli anni Settanta, ricordandone anche gli aspetti negativi. Senza per questo smettere di amarli.
Ultima modifica di Insight il gio 12 lug 2018, 10:16, modificato 2 volte in totale.
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Re: Azzurro tenebra

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BREVE GALLERIA DEI PERSONAGGI


I sommersi...

Il Golden
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Gianni Rivera, forse il miglior calciatore italiano della Storia. Contro l'Argentina è "uno spettro, una candela".



Il Bomber
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Gigi Riva. Altro grande campione. Gianni Brera lo soprannominò "Rombo di tuono". Ai Mondiali del 1974 gioca "come se gli avessero rubato il cuore".


Il Giorgione
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Giorgio Chinaglia. Campione della Lazio. Contro Haiti fece un gestaccio all'allenatore quando venne sostituito.



I salvati...

Baffo

Sandro Mazzola. Grande campione dell'Inter. Ai Mondiali del 1974 fece del suo meglio, ma dimostrò poca inventiva.




Petruzzu
Pietro Anastasi. Grande campione della Juventus. Anche lui giocò abbastanza generosamente. Contro la Polonia venne atterrato in area, ma l'arbitrò non fischiò il rigore...


I Santi...


San Dino
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Dino Zoff. Il portiere della Nazionale e della Juventus. Il migliore in campo insieme a Giacinto. Ci salvò da una disfatta ancora più nera. Prima dei Mondiali del 1974 non subiva un gol da due anni.


Giacinto
Giacinto Facchetti. Capitano della Nazionale ai Mondiali 1974 e grande giocatore dell'Inter. Un esempio di serietà e dedizione. Era uno dei pochi che ci credeva...


Gli onesti

Il Vecio
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Enzo Bearzot. Il viceallenatore ai Mondiali del 1974. Il simbolo dell'Italia onesta, che lavora senza bisogno dei riflettori. A lui è consegnato idealmente il testimone per il futuro riscatto dopo la disfatta...


Gauloise
Carlo Parola. Un preparatore atletico ai Mondiali del 1974. Grande campione del passato, nella Juventus. Rappresenta il vecchio calcio, più sobrio e genuino.



Il Grangiuàn
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Gianni Brera. Maestro di giornalismo calcistico.



Arp
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Giovanni Arpino. Scrittore e giornalista.
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Betelgeuse
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Re: Azzurro tenebra

Messaggio da Betelgeuse »

Splendido post e resoconto impeccabile, Ins :)
E' un piacere leggerlo.
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Whiteshark
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Iscritto il: ven 4 ott 2013, 17:25

Re: Azzurro tenebra

Messaggio da Whiteshark »

Davvero da applausi questa recensione, mi ha fatto venire voglia di rileggere per l'ennesima volta questo capolavoro arpiniano.
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Re: Azzurro tenebra

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Grazie :)
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Whiteshark
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Re: Azzurro tenebra

Messaggio da Whiteshark »

Splendido e struggente il ritratto che fa Arpino degli immigrati italiani, ai quali il solo Capello dedicò un pensiero dopo la disfatta contro la Polonia in una intervista alla DS.
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