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Insight
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Messaggio da Insight »

Celebre “instant-book” scritto da Alberto Arbasino nei giorni del sequestro Moro e pubblicato nel settembre del 1978. Ristampato trent’anni dopo dall’editore Garzanti, con una nuova postfazione dell’Autore e col titolo modificato: la “S” di “Stato” è diventata maiuscola…
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Una specie di “zibaldone” di pensieri ipercritici, scritti a caldo dall’Autore, volta per volta, a partire dal sesto o settimo giorno del sequestro e fino alla sua tragica conclusione.

La prosa è complicata, lo stile allusivo, simile a quello di Gadda; il tono è sarcastico, burlesco, irriverente, sferzante…

La vicenda Moro rimane sempre sullo sfondo e non è che un pretesto per mettere in luce le debolezze della società italiana, il malcostume, i vizi che affliggono da sempre il popolo italico e che proprio durante i momenti più tragici emergono in tutta la loro grottesca drammaticità…
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Queste pagine non risparmiano davvero nessuno, a cominciare dalla cosiddetta “società civile”, quella che ama contrapporsi alla classe politica e si autoproclama giusta e immune da ogni difetto.

Stando all’estero si ha l’impressione che in Italia, il 16 marzo 1978, sia scoppiata una guerra civile; rientrando nel “Bel Paese”, invece, si scopre che in realtà nulla è cambiato. Mentre si sta consumando una delle più gravi tragedie della Storia repubblicana, gli italiani non hanno rinunciato né alle loro abitudini né ai loro divertimenti e manifestano anzi, nei discorsi e nelle conversazioni, non solo indifferenza per quanto sta accadendo, ma anche una certa insofferenza. A neppure una settimana dal sequestro circolano dappertutto, nei luoghi pubblici - nei tram o negli autobus, mentre si fa la fila in banca o in posta o nei saloni delle parrucchiere e nelle botteghe dei barbieri - battute e battutacce pesantissime e ciniche su Moro. Passata l’emozione dei primi giorni, alla gente comune non importa nulla né di lui né della sua scorta…

Non c’è nessuna emergenza in Italia, all'inizio della primavera del 1978. Anzi, le guardie all’aeroporto di Fiumicino, aumentate solo di numero, continuano a fare quello che facevano anche prima: chiacchierano amabilmente tra loro, fanno lunghe telefonate ai familiari, vanno a prendere il caffè, oppure se ne stanno assorte con uno sguardo svagato e sognante abbracciate al loro mitra. Il tutto mentre passeggiano indisturbati, avanti e indietro per i corridoi, tanti passeggeri con borse, borsoni, valigie e valigette, e persino grandi custodie di strumenti musicali che potrebbero benissimo contenere anche un bazooka…

E c’è persino chi, nelle chiacchiere da bar, senza avere precise connotazioni politiche, si spertica in lodi per i terroristi, esaltando la loro azione “militarmente perfetta” e dicendosi sicuro che, data la maestria nell’esecuzione, deve per forza esserci dietro una “mano straniera”: è impossibile che i terroristi italiani abbiano fatto tutto da soli, deve esserci lo zampino degli americani, dei tedeschi, dei russi o degli israeliani…Infatti, un tipico vizio degli italiani è quello di pensare che quando una cosa va bene, persino un attentato terroristico, non possiamo essere noi ad averla fatta…
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Entrando più nello specifico dei vari gruppi e categorie sociali, le sferzate più aspre sono riservate ai giornalisti, agli intellettuali e ai “giovani” (una categoria particolarmente sbeffeggiata da Arbasino, che all’epoca in cui scrive ha 48 anni).

I giornalisti, mai come durante il sequestro Moro hanno sfoderato il loro vuoto linguaggio retorico, pieno di metafore, frasi fatte e luoghi comuni, e hanno contribuito (insieme ai politici) a trasformare, con il loro “giornalese”, la tragedia in farsa. Per cinquantacinque giorni hanno assillato il Paese con il loro “bla-bla”, col parlare di niente; e spesso, anzi, hanno fatto il gioco dei terroristi, facendo da cassa di risonanza ai loro misfatti, pubblicando e strapubblicando i loro volantini, i proclami, le risoluzioni strategiche… Li hanno addirittura esaltati, per esempio usando insistentemente la parola “commando” per descrivere il manipolo di delinquenti armati che hanno sterminato la scorta, come se si trattasse di un gruppo di milizie regolari che hanno compiuto un’azione eroica in tempo di guerra…

Gli intellettuali, in perfetto accordo con i giornalisti e i politici, hanno contribuito al “bla-bla” parlando di questioni inutili, senza mai scendere nel concreto. Ed è proprio questo il male della classe intellettuale italiana: non affrontare mai il problema, parlare sempre in astratto. La concretezza è l’illustre sconosciuta dall’intellettuale italiano, che si è sempre divertito a fare discorsi sulle parole, anziché sulle cose….

Ai giovani, Arbasino muove in parte la stessa accusa degli intellettuali: parole, parole e parole, senza mai un’idea che sia una, utile per cambiare la società…
Ma in più, i giovani degli anni Settanta, almeno quelli che protestano contro il “sistema”, perpetuano un altro grave vizio degli italiani: quello di piangersi addosso, di fare sempre la parte dei perseguitati, senza mai sentire il bisogno di “rimboccarsi le maniche” e cominciare a fare qualcosa di concreto…

La grande massa dei giovani, invece, quella che non contesta il “sistema”, vive nell’indifferenza e nel conformismo. E’ appiattita e “colonizzata” dalle mode d’oltreoceano. I giovani italiani sono i più modaioli del mondo: “In nessun altro Paese – scrive Arbasino – le mode giovanili sembrano così totalitarie: dappertutto si vedono coesistere diversi stili, convivere diverse fantasie, epoche disparate. Mai, da nessuna parte, come da noi, l’obbligo della lametta al collo solo nella stagione della lametta, e guai se in quella dell’orecchino o della sciarpina. Mai, come da noi, tutti l’anno scorso con la camicia fuori tra pantaloni e maglione, e tutti quest’anno col collettino del baverino tirato su, e il fazzolettino scuro legato dietro il collo e non assolutamente davanti…”.
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Naturalmente ce n’è anche per la classe politica, che durante il sequestro ha dato il peggio di sé. A parte il “bla-bla” e i discorsi lunghi e interminabili sul nulla e nessuna idea concreta (come gli intellettuali), la Democrazia cristiana ha scoperto un del tutto inatteso e improvviso “senso dello Stato”…

Idem il Partito comunista, che ha scoperto in questi cinquantacinque giorni di avere un senso dello Stato (anche) italiano, mentre prima del sequestro aveva un senso dello Stato più che altro sovietico…

Critiche aspre anche a quegli ambienti cattolici che si sono schierati a favore della trattativa e che hanno ritenuto ingiusto il sacrificio di un uomo in nome dello Stato. Sono gli stessi che esaltano, ad esempio, Maria Goretti, che si è sacrificata per salvare la propria verginità. Dunque è giusto che una ragazza si faccia ammazzare piuttosto che farsi violentare, ma invece è ingiusto che uno “statista” muoia per il suo Stato. Per i vescovi italiani, evidentemente, la “ragion di Sesso” vale più della “ragion di Stato”…

Malissimo ha fatto anche il Papa, che si è messo in ginocchio proprio come volevano i terroristi… E poi, come mai si è messo in ginocchio solo per Moro e in altri casi, per altre vittime “di terz’ordine”, non lo abbiamo mai sentito recitare nemmeno una preghierina? Sarebbe stato bello vederlo in ginocchio anche per altre vittime del terrorismo…

Accuse durissime arrivano da Arbasino anche allo stesso Moro, con quelle sue lettere dal tono petulante, stizzoso e arrogante, con quei suoi ossessivi richiami alla “famiglia”…
Richiami ossessivi, patetici, e assai poco credibili. Non è assolutamente credibile che la sua famiglia abbia un così estremo bisogno di lui, neanche fosse una famiglia di miserabili e poveri in canna… E’ una famiglia che anzi si permette di dare ordini al partito e al governo e persino di apostrofare il Papa…

E del resto quello della “famiglia” è uno dei tormentoni più ricorrenti nella fenomenologia del costume italiano, che la mette sempre, in qualunque occasione, al di sopra di tutto e che in questo caso, per alcuni, dovrebbe contare anche più dello Stato. Lo Stato per gli italiani viene proprio all’ultimo posto. Al primo viene senz’altro la “famiglia”…

Eppure, ci sono e ci saranno sempre famiglie che contano più di altre. Durante i cinquantacinque giorni, tutti siamo stati costantemente informati su che cosa pensava, faceva e diceva, quella determinata “famiglia”. Mentre mai una sola parola è stata spesa per quelle altre famiglie, quelle degli agenti della scorta che sono stati massacrati in via Fani.

Infine, non mancano frecciate sarcastiche anche contro i brigatisti che, tanto per dirne una, proclamano di combattere contro lo “Stato Imperialista delle Multinazionali" e però usano per le loro macchine da scrivere le testine della IBM e scattano le istantanee con la Polaroid…
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Davvero impietoso lo sguardo di Arbasino sulla società italiana degli anni Settanta, che ha mostrato tutte le sue “magagne” proprio durante il caso Moro. Ma lui stesso ci assicura, nella postfazione del 2008, che nulla è cambiato: il carattere degli italiani dopo trent’anni è rimasto lo stesso…

In questo Stato è un libretto in parte – non totalmente secondo me – condivisibile, ma anche piuttosto (troppo) difficile da leggere, perché se è vero che i giornalisti usano il “giornalese” e i politici il “politichese”, va anche detto, per amor di verità, che Arbasino scrive in “arbasinese”… :)
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Di Alberto Arbasino vedi anche in questa sezione: “La bella di Lodi”.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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