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Todo modo

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Todo modo

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Todo modo para buscar la voluntad divina” (“Ogni mezzo per cercare la volontà di Dio”) è una citazione tratta da uno degli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti. Ma quell’incipit “Todo modo” è anche il titolo di un famoso romanzo di Leonardo Sciascia, apparso nel 1974. Titolo che suona ironico, visto che il libro è un’aspra critica contro la Chiesa cattolica, tutt’altro che impegnata a ricercare la volontà divina, ma invece fortemente compromessa col potere politico, a sua volta corrotto e deviato…

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La storia è ambientata nei primi anni Settanta, in una località non precisata (probabilmente della Sicilia). Protagonista principale e voce narrante è un pittore famoso, il cui nome non viene svelato, giunto quasi alla soglia dei cinquant’anni e in una di quelle fasi in cui si sente il bisogno di “fermarsi” e riflettere sulla propria vita…

Per questo capita proprio a proposito che egli, girando in macchina, un giorno verso la fine di luglio, in un caldo torrido, si imbatta casualmente in un antico eremo immerso nel verde della campagna collinosa, chiamato “Eremo di Zafer”. Quale migliore occasione per fermarsi qualche giorno a meditare su se stessi, lontani dalla vita quotidiana, nella pace e tranquillità di un eremo…

Il pittore, invece, seguendo l’indicazione del cartello stradale, scopre che al posto dell’eremo sorge in mezzo al verde uno di quei moderni e orrendi casermoni di cemento armato, di solito utilizzati per l’edilizia popolare. Entrandovi, apprende dallo sfaccendato e piuttosto sgarbato custode (che è un prete), che l’Eremo di Zafer è stato in realtà trasformato e “inglobato” in un grande albergo. L’ “Hotel Zafer” in questo momento conta solo cinque ospiti (tutte donne), ma fra esattamente due giorni ne arriveranno parecchi altri e tutti “altolocati”: personaggi famosi del mondo della politica e degli affari…

Molto sorpreso, il narratore decide comunque di fermarsi almeno per due giorni, finché non arriveranno gli ospiti illustri, i quali vengono tutti gli anni in questo periodo e si fermano per una settimana, anche loro per “meditare”: in un vero e proprio “ritiro spirituale”, eseguendo i famosi “Esercizi” di Ignazio di Loyola, sotto la guida di esperti prelati…
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Aggirandosi per l’albergo-eremo ancora deserto, il pittore scopre le bellezze antiche del luogo, che in buona parte sono rimaste intatte anche se circondate dal cemento grigio, vede e ammira da lontano le cinque donne ospiti che prendono piacevolmente il sole in costume da bagno, e fa conoscenza con il direttore dell’hotel, un personaggio enigmatico, ambiguo, per il quale prova immediatamente e allo stesso tempo un senso di attrazione e repulsione: don Gaetano.

Il prete gesuita che ha trasformato l’antico eremo in un albergo e che ogni anno riceve i prestigiosi ospiti occupandosi della loro “riconciliazione spirituale”, è un uomo di mezza età, di una cultura impressionante e dall’atteggiamento piuttosto freddo e distaccato. I suoi discorsi, anche in materia religiosa, spesso infarciti da eruditissime citazioni, rivelano, oltre che la sua vasta cultura, un inaspettato cinismo e molta spregiudicatezza. Ma allo stesso tempo il suo modo di parlare e la sicurezza con la quale si esprime affascinano e incantano i suoi interlocutori, compreso il pittore.

Don Gaetano, anche se è certamente un prete, è una figura talmente ambigua che talvolta nella storia non si fa difficoltà ad accostarlo addirittura al demonio: ad esempio, il suo quadro preferito, che si trova proprio nella cappella dell’eremo e che egli ama osservare estasiato, raffigura un santo che viene tentato dal diavolo: e il diavolo tentatore porta degli occhialini a pince - nez, dello stesso tipo di quelli che usa lui per la lettura…
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Il secondo giorno arrivano alcuni vescovi e un cardinale, che dovranno guidare insieme a don Gaetano gli ospiti durante gli “Esercizi spirituali”. Il pittore, molto incuriosito, ottiene il permesso di prolungare il suo soggiorno per assistere agli “Esercizi”, senza però parteciparvi.

Arrivano finalmente gli attesi ospiti: soprattutto politici, deputati, senatori e ministri, ma anche personaggi dell’alta finanza, imprenditori, industriali e alti funzionari pubblici. Dopo i saluti, i convenevoli e la prima funzione celebrata dal cardinale, gli ospiti vengono invitati a ritirarsi ciascuno nella propria camera per una prima “meditazione”, una sorta di “raccoglimento delle idee” prima di cominciare i veri e propri “Esercizi spirituali”. In questa fase, il pittore scopre il ruolo delle cinque donne presenti nell’albergo: esse sono le amanti di cinque “notabili” che tutti gli anni le portano “in ritiro” insieme a loro. Le donne dividono la camera con gli amanti, nonostante il regolamento prescriva che gli ospiti debbano stare in ritiro da soli…

Il pittore scopre ben presto che il “ritiro spirituale” è in realtà un pretesto, una specie di facciata per agevolare l’incontro tra gli ospiti, che approfittano per parlare tra loro e per concludere i loro loschi affari. E quel che più lo lascia atterrito e lo disgusta è che don Gaetano e probabilmente anche i vescovi e il cardinale ne sono perfettamente a conoscenza ma fanno finta di nulla, fingono che si tratti di un vero soggiorno spirituale e prescrivono puntigliosamente gli “Esercizi” di Sant’Ignazio di Loyola…
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Nella seconda parte del libro, la storia si tinge di giallo. Durante la recita del rosario, che don Gaetano fa eseguire agli ospiti facendoli disporre a quadrato, come un plotone militare, nel grande cortile dell’albergo, e facendoli muovere come in una specie di grottesco “balletto”, si sente all’improvviso un colpo sordo, uno sparo soffocato, e uno degli ospiti, che si trovava in prima fila nel quadrato, stramazza a terra, morto stecchito.

La vittima è l’ex-senatore Michelozzi, che ha da poco lasciato il Parlamento per andare a dirigere un’importante azienda pubblica, uomo di “indiscussa e specchiata moralità”. Eppure non c’è dubbio che è stato ucciso, ma da chi e perché? Non ci sono indizi: nessuno ha visto niente, neppure il pittore e il cuoco, che hanno assistito insieme alla scena da lontano.

Arriva la polizia chiamata da don Gaetano, che si dimostra freddo e impassibile e ordina a tutti gli ospiti di non allontanarsi dall’albergo. Entrano in scena il commissario e il procuratore della Repubblica: quest’ultimo, di nome Scalambri, è una vecchia conoscenza del pittore, un suo compagno di liceo che già a quei tempi gli stava piuttosto antipatico perché era uno di quei classici secchioni che non passano mai i compiti…

La farsa continua. I poliziotti, anziché sorvegliare i presenti, sono seccati di dover stare là e pensano ai turni, a quando saranno sostituiti e potranno tornarsene a casa. Il commissario (che detesta il procuratore Scalambri e spera in un suo fallimento) è a sua volta disinteressato e non muove un dito. Il procuratore Scalambri, pur essendo un tipo puntiglioso e preciso com’era ai tempi del liceo, appare assolutamente inadeguato al suo compito: lo prende con molta leggerezza e anziché informarsi subito su chi erano quelli più vicini alla vittima al momento dello sparo, decide di interrogare tutti gli ospiti, uno alla volta, seguendo scrupolosamente l’ordine alfabetico dei cognomi…

Solo grazie ai suggerimenti del pittore, il cerchio delle indagini si restringe. Una figura chiave, che sicuramente sa qualcosa, è l’avvocato Voltrano (una specie di faccendiere), che si trovava vicino a Michelozzi al momento dello sparo. Ma proprio mentre si pensa di metterlo sotto torchio, l’avvocato precipita dalla terrazzina della sua camera e muore sfracellato. Non si tratta di un incidente: qualcuno lo ha spinto, gli omicidi così diventano due…
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In serata, il pittore ha uno strano e molto ambiguo colloquio con don Gaetano, il cui senso, sostanzialmente, è che tutti sono in realtà colpevoli di quei delitti, perché il sistema è marcio e dev’essere distrutto e rifondato per il bene comune. Occorre un nuovo “battesimo col fuoco”, come quello scritto nel Vangelo di Matteo…

Dopodiché, il prete gli fa trovare nella sua camera un’edizione rilegata in pelle nera dei Pensieri di Pascal, con il segnalibro posizionato sul seguente “Pensiero”, il numero 460, che così recita: “Poiché la sua vera natura è andata perduta, tutto diventa la sua natura; come, essendo perduto il vero bene, tutto diventa il suo vero bene”.

Nel mentre il pittore si chiede se don Gaetano, con quel “Pensiero” di Pascal abbia voluto comunicargli qualcosa, la soluzione dei due delitti gli si rivela improvvisa nella mente: una soluzione talmente evidente, talmente sotto gli occhi di tutti, che proprio per questo nessuno la vede. Egli, però, non la rivela né alla polizia, né a Scalambri, né al lettore…

Il giorno seguente, don Gaetano viene trovato morto vicino al vecchio mulino, nei dintorni dell’eremo, con una pistola accanto. Tutti tendono ad escludere il suicidio, ma mentre il procuratore Scalambri (anche e soprattutto per comodo) pensa che ad eliminare il prete sia stata la stessa mano che ha ucciso prima Michelozzi e poi Voltrano, il pittore e il commissario sospettano che chi ha fatto fuori don Gaetano sia un’altra persona. Gli assassini ancora in circolazione, quindi, potrebbero essere due.

Le indagini, a questo punto, arrivati alla fine del romanzo, brancolano nel buio. L’unica cosa che appare abbastanza certa è che Michelozzi, la prima delle vittime assassinate, era un finanziatore occulto di molti suoi prezzolati “colleghi” e che probabilmente ricattava qualcuno degli ospiti (forse anche più di uno), i quali anziché utilizzare i fondi occulti per il proprio partito, li distraevano per se stessi, venendo meno ai patti…

Il procuratore, infine, ordina lo sgombero dell’albergo, perché ormai teme per l’incolumità di tutti gli ospiti e sia lui che il commissario sono rassegnati al fatto che la verità non verrà mai fuori.
***
Un giallo senza soluzione, dunque, dove non importa trovare il colpevole, perché i colpevoli, in fondo, come aveva detto don Gaetano poco prima di morire, sono tutti quelli che accettano il sistema perverso e malato, di corruzione e malaffare.

Sinceramente, non mi è mai piaciuto il teorema: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”, ma è tuttavia chiaro e apprezzabile l’intento dell’Autore, che è quello di denunciare le collusioni illecite fra potere politico, economico ed ecclesiastico: alla Chiesa, in particolare, questo libro muove la pesante accusa di essere stata complice e connivente con la Democrazia cristiana, un partito che di “cristiano” aveva assai poco…

Lettura affascinante, abbastanza complessa, fortemente allegorica e tutto sommato profetica. Particolarmente indicata, secondo me, anche per ricordare questo 9 maggio, giorno in cui ricorre la morte di Aldo Moro, uno dei “notabili” democristiani, la cui tragica fine può anche essere letta come quella di un uomo di potere che, proprio dentro i complessi e perversi meccanismi di quel potere, è rimasto schiacciato.
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Re: Todo modo

Messaggio da Omero »

Molto bello. Resta, in chi l'ha letto.
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Re: Todo modo

Messaggio da franz75 »

Concordo. Sciascia è uno dei pochi scrittori oltre il 1950 davvero imperdibili, a mio avviso.
Grande, anche se non quanto il libro, anche il film omonimo di Petri, con alcune prove attoriali gigantesche, Volonté e Mastroianni su tutti (ma anche, in parti minori, uno straordinario Ciccio Ingrassia e perfino Tino Scotti, che penso fosse alla sua ultima apparizione cinematografica).
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Re: Todo modo

Messaggio da Whiteshark »

Le prove di Ingrassia in questo film e di Franchi in "Ultimo tango a Zagarol" fecero capire quanto i due attori avrebbero potuto dare se fossero usciti dallo stereotipo dei loro "filmacci". Fine OT.
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Re: Todo modo

Messaggio da Omero »

Proprio vero White. Mettiamoci anche Capriccio all'italiana, Pinocchio , Don Chisciotte e Sancio Panza, Kaos ?
Fine OT
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Re: Todo modo

Messaggio da Insight »

In una delle ultime lettere di Moro, c'è una "stoccata" anche per Sciascia, che suona un po' ingrata (a posteriori) se si tiene conto che Sciascia scrisse subito dopo la morte di Moro, il suo Affaire... in cui sostiene apertamente e appassionatamente la necessità della trattativa con le Br.
Moro, in quella lettera scritta nella prigione, se la prende con gli intellettuali italiani e di Sciascia dice che da quando è morto Pasolini, lui vorrebbe a tutti i costi prendere il suo posto, diventare il nuovo Pasolini... "E tuttavia senza possederne lo stesso fervore intellettuale...".

In effetti, una cosa che mi sono sempre chiesta è che cosa avrebbe detto e scritto Pasolini se fosse stato vivo durante il sequestro Moro... Ne avremmo lette e sentite delle belle, secondo me avrebbe avuto la forza, non dico di cambiare le cose, ma sicuramente di creare un dibattito pazzesco... Sono convinto che lui sarebbe stato per la trattativa o almeno mi piace pensarlo. Di Moro, Pasolini scrisse che era "il meno compromesso" dei notabili democristiani...
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Re: Todo modo

Messaggio da Whiteshark »

«Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. (…) Nella fase di transizione – ossia durante la scomparsa delle lucciole – gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state organizzate dal ‘69 a oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere».

P.P.Pasolini, "Corriere della sera", 1 Febbraio 1975
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Re: Todo modo

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Un famosissimo articolo. La prima fase del "regime Dc" corrisponde, economicamente, all'era pre-industriale. Praticamente dal 1945 ai primi anni Sessanta. In tale fase, Pasolini individua una perfetta continuità tra il regime fascista e quello democristiano (salva la veste formalmente democratica). La seconda, invece, è quella che inizia nei primi anni Sessanta, in cui c'è l'avvento del consumismo. In questa seconda fase la Dc si allea con il potere dei consumi, che è molto peggio del fascismo, perché distrugge ogni particolarismo e amalgama le classi sociali in un "tutto" informe e spaventoso...Un mostro senza testa.

Da notare che la Chiesa, sempre secondo Pasolini, nella prima fase era perfettamente alleata col potere democristiano, che infatti lui chiamava "clerico-fascista". Nella seconda fase, invece, il potere dei consumi non ha più bisogno della Chiesa e attacca e corrode anche i simboli sacri della religione...

Pasolini era convinto che il potere (specialmente quello dei consumi) trasformasse anche antropologicamente le persone. Il potere per lui era la cosa più terribile che esistesse. Di questo parla anche il suo ultimo, incompleto, romanzo, Petrolio. Che invece è stato stupidamente bollato, anche dalla Sinistra, come un'opera pornografica.

In effetti, Sciascia, che però io conosco meno di Pasolini, non ha la sua stessa profondità di pensiero (ma chi ce l'ha?). Ed è anche vero, come scrisse Moro, che Sciascia "giocava" un po' a fare il Pasolini. Per esempio le pagine iniziali dell'Affaire riprendono paro paro il famoso discorso sulla "scomparsa delle lucciole"...
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Re: Todo modo

Messaggio da Whiteshark »

"Lettere inedite dei familiari di Moro a Sciascia: sono conservate in Fondazione ad Agrigento
Ma la famiglia dell’ex presidente del Consiglio ucciso dalle Br non ha autorizzato la lettura pubblica"

Da quasi trent’anni quelle lettere sono lì: la busta strappata e l’indirizzo della casa di Leonardo Sciascia, che intanto scriveva il suo “Affaire Moro” avanzando numerosi dubbi sul ruolo dello Stato e della politica durante i giorni del rapimento di Aldo Moro, segretario Dc, ucciso in seguito dalle Brigate Rosse. Dall’altra parte c’era la moglie di Aldo Moro che si rivolgeva allo scrittore nei giorni successivi all’uccisione del leader della Democrazia Cristiana e sua figlia che scriveva altre missive all’autore, fortemente impegnato in politica e personaggio con un ruolo di rilievo nella società del tempo. Quelle lettere, consegnate insieme ad altre 14mila alla Fondazione Sciascia di Racalmuto, oggi sono rimaste conservate e poco si conosce sul contenuto, nonostante una lettura potrebbe probabilmente portare più chiarezza in uno dei casi più bui della storia italiana.

Quello che si sa è che, mentre le lettere della moglie di Aldo Moro, Eleonora Chiavarelli, hanno un contenuto esiguo, quelle della figlia, Maria Fida, sarebbero molto più lunghe e si rivolgerebbero allo scrittore ponendo delle domande e dei quesiti, per dei dubbi che Maria Fida Moro voleva fugare. Sono proprio queste tre lettere quelle impossibili da leggere a causa della mancata autorizzazione data dalla diretta interessata, e che rimarranno in questo stato se la negazione continuerà. Questo accade per un fatto semplice: le lettere infatti, pur essendo state donate dagli eredi di Sciascia alla Fondazione voluta proprio dallo scrittore qualche anno prima della sua morte, non sono di proprietà della stessa, ma della famiglia. Se questa ha comunque dato l’autorizzazione alla lettura, la legge impone che anche dall’altro lato ci sia il nulla osta per poter leggere e pubblicare, cosa che non è mai avvenuta. Quelle lettere però potrebbero essere importanti ai fini della ricostruzione della vita del presidente del Consiglio ucciso il 9 maggio del 1978. Così come si scoprì che erano importanti, ma solo diversi anni dopo la sua morte, le missive che Enzo Tortora, presentatore al centro di un clamoroso caso di malagiustizia, inviava dal carcere a Leonardo Sciascia.

Oggi quelle lettere sono in un caveau, mentre l’unica bibliotecaria a 15 ore settimanali continua il suo non facile lavoro di inventario, volto a collegare le lettere esistenti, per un archivio ancora fermo alla lettera C nonostante un lavoro che dura da più di 30 anni. Mentre quelle decine di migliaia di lettere giacciono all’interno delle stanze della grande Fondazione costruita nell’ex centrale Enel, la Regione taglia i fondi e addirittura gli addetti ai lavori non riescono a pagare neanche le bollette della luce e in alcuni casi sono costretti a dover spegnere i riscaldamenti a giorni alterni al fine di rientrare nel budget annuale. Oltre a quelle dei familiari di Moro, che sono rimaste inedite, a creare scalpore è il fatto che altre lettere oggi sono sconosciute ai più solo per l’assenza di un lavoro mirato che cerchi di ricostruire la genesi degli autori, al fine di chiedere l’autorizzazione per la pubblicazione di missive che da sole potrebbero dare un quadro più chiaro degli anni che vanno dal Settanta ai Novanta, forse i più bui della storia italiana. Tutti infatti, come il boss Giuseppe Sirchia (lui dal carcere) scrivevano a Sciascia, consci della sua influenza nella società di quegli anni. Anni di misteri, di uccisioni, di mafia e di strani suicidi.

(Corriere della sera, 17 aprile 2018)
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Re: Todo modo

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Mah, la prima cosa che mi viene da pensare è che se quelle lettere contenessero qualcosa di utile, per esempio qualche indicazione sulla prigione di Moro o qualche rivelazione scottante sulla Dc, la famiglia Moro avrebbe tutto l'interesse a renderle pubbliche, visto che per anni i familiari hanno gridato al complotto, hanno detto peste e corna dei colleghi e "amici" del loro congiunto e non li hanno voluti vedere nemmeno al funerale... Quindi, ragionando "a contrario", se gli eredi di Moro non vogliono renderle pubbliche, deduco che esse non contengono nulla di così pregnante e utile per la ricostruzione dell'oscura vicenda. Probabilmente hanno solo un interesse storico-letterario....
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