La storia è ambientata nei primi anni Settanta, in una località non precisata (probabilmente della Sicilia). Protagonista principale e voce narrante è un pittore famoso, il cui nome non viene svelato, giunto quasi alla soglia dei cinquant’anni e in una di quelle fasi in cui si sente il bisogno di “fermarsi” e riflettere sulla propria vita…
Per questo capita proprio a proposito che egli, girando in macchina, un giorno verso la fine di luglio, in un caldo torrido, si imbatta casualmente in un antico eremo immerso nel verde della campagna collinosa, chiamato “Eremo di Zafer”. Quale migliore occasione per fermarsi qualche giorno a meditare su se stessi, lontani dalla vita quotidiana, nella pace e tranquillità di un eremo…
Il pittore, invece, seguendo l’indicazione del cartello stradale, scopre che al posto dell’eremo sorge in mezzo al verde uno di quei moderni e orrendi casermoni di cemento armato, di solito utilizzati per l’edilizia popolare. Entrandovi, apprende dallo sfaccendato e piuttosto sgarbato custode (che è un prete), che l’Eremo di Zafer è stato in realtà trasformato e “inglobato” in un grande albergo. L’ “Hotel Zafer” in questo momento conta solo cinque ospiti (tutte donne), ma fra esattamente due giorni ne arriveranno parecchi altri e tutti “altolocati”: personaggi famosi del mondo della politica e degli affari…
Molto sorpreso, il narratore decide comunque di fermarsi almeno per due giorni, finché non arriveranno gli ospiti illustri, i quali vengono tutti gli anni in questo periodo e si fermano per una settimana, anche loro per “meditare”: in un vero e proprio “ritiro spirituale”, eseguendo i famosi “Esercizi” di Ignazio di Loyola, sotto la guida di esperti prelati…
Il prete gesuita che ha trasformato l’antico eremo in un albergo e che ogni anno riceve i prestigiosi ospiti occupandosi della loro “riconciliazione spirituale”, è un uomo di mezza età, di una cultura impressionante e dall’atteggiamento piuttosto freddo e distaccato. I suoi discorsi, anche in materia religiosa, spesso infarciti da eruditissime citazioni, rivelano, oltre che la sua vasta cultura, un inaspettato cinismo e molta spregiudicatezza. Ma allo stesso tempo il suo modo di parlare e la sicurezza con la quale si esprime affascinano e incantano i suoi interlocutori, compreso il pittore.
Don Gaetano, anche se è certamente un prete, è una figura talmente ambigua che talvolta nella storia non si fa difficoltà ad accostarlo addirittura al demonio: ad esempio, il suo quadro preferito, che si trova proprio nella cappella dell’eremo e che egli ama osservare estasiato, raffigura un santo che viene tentato dal diavolo: e il diavolo tentatore porta degli occhialini a pince - nez, dello stesso tipo di quelli che usa lui per la lettura…
Arrivano finalmente gli attesi ospiti: soprattutto politici, deputati, senatori e ministri, ma anche personaggi dell’alta finanza, imprenditori, industriali e alti funzionari pubblici. Dopo i saluti, i convenevoli e la prima funzione celebrata dal cardinale, gli ospiti vengono invitati a ritirarsi ciascuno nella propria camera per una prima “meditazione”, una sorta di “raccoglimento delle idee” prima di cominciare i veri e propri “Esercizi spirituali”. In questa fase, il pittore scopre il ruolo delle cinque donne presenti nell’albergo: esse sono le amanti di cinque “notabili” che tutti gli anni le portano “in ritiro” insieme a loro. Le donne dividono la camera con gli amanti, nonostante il regolamento prescriva che gli ospiti debbano stare in ritiro da soli…
Il pittore scopre ben presto che il “ritiro spirituale” è in realtà un pretesto, una specie di facciata per agevolare l’incontro tra gli ospiti, che approfittano per parlare tra loro e per concludere i loro loschi affari. E quel che più lo lascia atterrito e lo disgusta è che don Gaetano e probabilmente anche i vescovi e il cardinale ne sono perfettamente a conoscenza ma fanno finta di nulla, fingono che si tratti di un vero soggiorno spirituale e prescrivono puntigliosamente gli “Esercizi” di Sant’Ignazio di Loyola…
Nella seconda parte del libro, la storia si tinge di giallo. Durante la recita del rosario, che don Gaetano fa eseguire agli ospiti facendoli disporre a quadrato, come un plotone militare, nel grande cortile dell’albergo, e facendoli muovere come in una specie di grottesco “balletto”, si sente all’improvviso un colpo sordo, uno sparo soffocato, e uno degli ospiti, che si trovava in prima fila nel quadrato, stramazza a terra, morto stecchito.
La vittima è l’ex-senatore Michelozzi, che ha da poco lasciato il Parlamento per andare a dirigere un’importante azienda pubblica, uomo di “indiscussa e specchiata moralità”. Eppure non c’è dubbio che è stato ucciso, ma da chi e perché? Non ci sono indizi: nessuno ha visto niente, neppure il pittore e il cuoco, che hanno assistito insieme alla scena da lontano.
Arriva la polizia chiamata da don Gaetano, che si dimostra freddo e impassibile e ordina a tutti gli ospiti di non allontanarsi dall’albergo. Entrano in scena il commissario e il procuratore della Repubblica: quest’ultimo, di nome Scalambri, è una vecchia conoscenza del pittore, un suo compagno di liceo che già a quei tempi gli stava piuttosto antipatico perché era uno di quei classici secchioni che non passano mai i compiti…
La farsa continua. I poliziotti, anziché sorvegliare i presenti, sono seccati di dover stare là e pensano ai turni, a quando saranno sostituiti e potranno tornarsene a casa. Il commissario (che detesta il procuratore Scalambri e spera in un suo fallimento) è a sua volta disinteressato e non muove un dito. Il procuratore Scalambri, pur essendo un tipo puntiglioso e preciso com’era ai tempi del liceo, appare assolutamente inadeguato al suo compito: lo prende con molta leggerezza e anziché informarsi subito su chi erano quelli più vicini alla vittima al momento dello sparo, decide di interrogare tutti gli ospiti, uno alla volta, seguendo scrupolosamente l’ordine alfabetico dei cognomi…
Solo grazie ai suggerimenti del pittore, il cerchio delle indagini si restringe. Una figura chiave, che sicuramente sa qualcosa, è l’avvocato Voltrano (una specie di faccendiere), che si trovava vicino a Michelozzi al momento dello sparo. Ma proprio mentre si pensa di metterlo sotto torchio, l’avvocato precipita dalla terrazzina della sua camera e muore sfracellato. Non si tratta di un incidente: qualcuno lo ha spinto, gli omicidi così diventano due…
Dopodiché, il prete gli fa trovare nella sua camera un’edizione rilegata in pelle nera dei Pensieri di Pascal, con il segnalibro posizionato sul seguente “Pensiero”, il numero 460, che così recita: “Poiché la sua vera natura è andata perduta, tutto diventa la sua natura; come, essendo perduto il vero bene, tutto diventa il suo vero bene”.
Nel mentre il pittore si chiede se don Gaetano, con quel “Pensiero” di Pascal abbia voluto comunicargli qualcosa, la soluzione dei due delitti gli si rivela improvvisa nella mente: una soluzione talmente evidente, talmente sotto gli occhi di tutti, che proprio per questo nessuno la vede. Egli, però, non la rivela né alla polizia, né a Scalambri, né al lettore…
Il giorno seguente, don Gaetano viene trovato morto vicino al vecchio mulino, nei dintorni dell’eremo, con una pistola accanto. Tutti tendono ad escludere il suicidio, ma mentre il procuratore Scalambri (anche e soprattutto per comodo) pensa che ad eliminare il prete sia stata la stessa mano che ha ucciso prima Michelozzi e poi Voltrano, il pittore e il commissario sospettano che chi ha fatto fuori don Gaetano sia un’altra persona. Gli assassini ancora in circolazione, quindi, potrebbero essere due.
Le indagini, a questo punto, arrivati alla fine del romanzo, brancolano nel buio. L’unica cosa che appare abbastanza certa è che Michelozzi, la prima delle vittime assassinate, era un finanziatore occulto di molti suoi prezzolati “colleghi” e che probabilmente ricattava qualcuno degli ospiti (forse anche più di uno), i quali anziché utilizzare i fondi occulti per il proprio partito, li distraevano per se stessi, venendo meno ai patti…
Il procuratore, infine, ordina lo sgombero dell’albergo, perché ormai teme per l’incolumità di tutti gli ospiti e sia lui che il commissario sono rassegnati al fatto che la verità non verrà mai fuori.
Sinceramente, non mi è mai piaciuto il teorema: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”, ma è tuttavia chiaro e apprezzabile l’intento dell’Autore, che è quello di denunciare le collusioni illecite fra potere politico, economico ed ecclesiastico: alla Chiesa, in particolare, questo libro muove la pesante accusa di essere stata complice e connivente con la Democrazia cristiana, un partito che di “cristiano” aveva assai poco…
Lettura affascinante, abbastanza complessa, fortemente allegorica e tutto sommato profetica. Particolarmente indicata, secondo me, anche per ricordare questo 9 maggio, giorno in cui ricorre la morte di Aldo Moro, uno dei “notabili” democristiani, la cui tragica fine può anche essere letta come quella di un uomo di potere che, proprio dentro i complessi e perversi meccanismi di quel potere, è rimasto schiacciato.