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Dolcissimo

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Insight
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Dolcissimo

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Romanzo del medico e scrittore siciliano Giuseppe Bonaviri (1924- 2009), pubblicato nel 1978.

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Una storia molto complessa, che si può definire “fantastica” o “immaginifica” e che si svolge simultaneamente su tre differenti livelli di scrittura: uno di tipo “scientifico” e “storico-documentaristico”, uno narrativo vero e proprio e un terzo di carattere “lirico-epico”. Il tutto, poi, è complicato dall’uso di una terminologia piuttosto ricercata, tecnicistica, e dai numerosi simboli e allegorie. Insomma, capirci qualcosa di questo romanzo non è davvero semplice…

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Al centro della vicenda, come sempre nei libri di Bonaviri, c’è la Sicilia e, in particolare, la sua città d’origine: Mineo, che si trova dalle parti di Catania.
In questo romanzo, Mineo, nella finzione letteraria, diventa “Zebulònia”, una città antichissima, il cui nome evoca immediatamente un mondo arcaico e magico…

In epoca contemporanea, due strani personaggi, ossia un medico di nome Ariete e un suo amico e collega “etno-psichiatra” che si chiama Mario Sinus, ricevono l’incarico da una funzionaria del ministero della Sanità – che a sua volta ha il nome piuttosto bizzarro di Ida Melange e che oltre ad essere una funzionaria ministeriale ha anche scritto un trattatello di filosofia dal titolo “De amore mutatis mutandis” – di recarsi a Zebulònia e di svolgervi un’inchiesta, documentata, sui motivi per cui pare che questa piccola città della Sicilia si stia praticamente “disgregando” insieme ai suoi abitanti….

Letteralmente, l’incarico della Melange recita: “Fare un’inchiesta sulle persuasioni, inclinazioni di mente e manifeste cecità d’errori in cui è caduto il paese di Zebulònia”…


I due, allora, partono per Zebulònia. Ariete, in particolare, è toccato emotivamente da questo viaggio-inchiesta, perché egli è originario di Zebulònia: è là nato e cresciuto e vi è rimasto fino a che è diventato medico e se n’è andato. Ora vi manca da vent’anni.
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Zebulònia è una cittadina arroccata su un monte di origine vulcanica, non è raggiungibile con l’automobile. Ariete e Mario Sinus, dunque, per arrivarci devono parcheggiare alle pendici del monte e inerpicarsi per una lunga e faticosa salita. Nel mentre camminano, il “livello documentaristico” del libro ci informa sulle origini storiche e sulle caratteristiche fisiche, ambientali e climatiche di questa antichissima cittadina…

Essa, secondo la tradizione, è stata fondata nel V secolo avanti Cristo da Ducèzio, re dei Siculi, che poi cercò con tutte le forze di opporsi alla colonizzazione greca, combattendo molte guerre…

Attraverso i secoli, Zebulònia è stata contaminata da diverse culture che poi si sono fuse tutte assieme a quella sicula: la cultura greca soprattutto; poi quella romana; poi, per secoli e secoli, la cultura araba e infine quella normanna e quella spagnola…

Anche dal punto di vista geologico, il terreno sul quale si trova Zebulònia presenta la particolarità di essere composto da più strati; e le rocce più antiche risalgono a cento milioni di anni fa… Nel 1693, poi, un terribile terremoto aveva raso al suolo la cittadina, contribuendo a confondere le stratificazioni geologiche nel sottosuolo…

Gli abitanti di Zebulònia hanno conservato nel tempo le loro abitudini, il loro dialetto, le loro usanze e i riti magici e religiosi, e vivono (o almeno vivevano fino a poco fa) in una simbiosi perfetta con la natura, facendo ampio uso, non solo per l’alimentazione, ma anche per la medicina, della grande varietà, assai particolare, di piante e di erbe aromatiche e medicinali che si trovano soltanto là, e persino delle pietre…

Una comunità, quella di Zebulònia, che costituisce un esempio unico e perfetto di “microcosmo”, di unità armoniosa tra uomo e natura, in cui il tempo stesso pare essere un concetto “relativizzato” o, come cerca di spiegare l’etno-psichiatra Mario Sinus, “interiorizzato” dagli abitanti della cittadina. E ciò ad onta dei tantissimi orologi che si trovano a Zebulònia, sui numerosi campanili ma anche sulle facciate di altri edifici…
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Ma che cosa sta succedendo ora a Zebulònia e ai suoi abitanti?
Ancora prima di raggiungerla, lungo la strada, Ariete e Sinus, mentre procedono camminando in un paesaggio che diventa sempre più “lunare”, si imbattono in schiere di bambini e di vecchi che, armati di palette e secchielli, scavano nella terra e vi estraggono con facilità ogni genere di reperti archeologici: soprattutto monete, ma anche ossi, pomelli di spada, pezzi di anfora, fiaschetti, fibule, anelli, ecc., ecc…

Raggiungendo finalmente la città arroccata sul monte, i due scoprono che Zebulònia è diventata quasi una città-fantasma: i pochi zebulònesi rimasti sono soltanto bambini o ragazzini e anziani. Gli altri o sono partiti, emigrati, oppure – peggio ancora – sono caduti ammalati di mente, in stato catatonico…

Anche la flora e la fauna hanno subito un’alterazione: le piante e le erbe “magiche” e aromatiche, che avevano proprietà prodigiose, sono praticamente scomparse… Gli uccelli, un tempo numerosissimi, ora sono solo di due specie: i gufi, che verso sera arrivano e infestano per tutta la notte i tetti e i campanili, e i galli, che alla mattina fanno risuonare il loro canto in tutto il paese…

Le botteghe degli artigiani, dei barbieri e dei ciabattini, sono abbandonate, le case sono in gran parte disabitate, fatiscenti e invase dai rovi…

Ariete e Sinus incontrano Jaluna, una vecchia zebulònese che Ariete ricorda fin dalla sua infanzia, che comunica al medico una triste notizia: sua madre, Algazelìa, pur essendo in età già avanzata, è partita qualche anno prima da Zebulònia, insieme ad un gruppo di altri zebulònesi, per andare alla ricerca di fonti d’acqua e non è più tornata…Infatti, un altro grave problema del paese è la carenza di acqua: a Zebulònia non ci sono più fontane…

Un’altra amara notizia è che ‘Alqama, la ex compagna di giochi di Ariete e figlia di Dolcissimo, il personaggio che dà il titolo al libro, come tanti altri abitanti, è caduta in una specie di “trance”: non parla, non reagisce agli stimoli esterni, deve essere nutrita a forza e non fa altro che fare strani disegni… Suo padre, il vecchio Dolcissimo, è anche lui partito da Zebulònia alla ricerca di qualche erba miracolosa che possa risvegliare la figlia e non è più tornato…
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Mercurio, che è un ragazzino ed è anche l’ultimo cantastorie di Zebulònia, rievoca cantando e accompagnandosi con la chitarra, la storia di Algazelìa, madre di Ariete, partita insieme ai suoi amici alla ricerca dell’acqua…Una storia che è già diventata un piccolo poema epico…

Attraverso i canti di Mercurio, ma anche nei racconti dei vecchi zebulònesi, viene inoltre rievocata la figura molto amata di Dolcissimo, che era pure lui un cantastorie, uno dei migliori, che usava due chitarre costruite da lui stesso: una era fatta di legno di rosa selvatica e l’altra di legno di eucalipto. Egli usava ora l’uno ora l’altro degli strumenti musicali, a seconda dello stato d’animo che intendeva esprimere…

Dolcissimo, oltre ad essere un cantastorie, era anche il più esperto conoscitore di erbe di tutta Zebulònia (o forse, più semplicemente, l’ultimo rimasto). E fino alla fine egli ha cercato di “salvare” i zebulònesi, coltivando ed offrendo loro le sue erbe medicamentose e aromatiche…Finché, purtroppo, è dovuto partire per andare alla ricerca di un’erba che facesse rinsavire ‘Alqama, la figlia… Anche questa, ormai, a Zebulònia, è materia di poesia epica…

Ma Dolcissimo è anche e soprattutto un simbolo: egli incarna e rappresenta Zebulònia stessa prima del suo “disfacimento”: l’armonia, l’unità perfetta tra l’uomo e l’ambiente circostante…
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Mentre Ariete si lascia coinvolgere e sconvolgere emotivamente, riscoprendo con grande struggimento interiore i luoghi della sua infanzia e giovinezza, Mario Sinus, con spirito più scientifico, prosegue nella sua missione e in pratica giunge alla conclusione che l’”unità cosmologica” (che comprendeva anche il tempo), che caratterizzava Zebulònia, si sta disgregando e gli abitanti, quelli che non se ne sono andati, tendono a cadere in una specie di “dissociazione psichica”: è come se l’ordine perfetto, l’unità di spazio-tempo-ambiente, che avevano interiorizzato, si fosse all’improvviso sfaldato…

Sinus, infine, proseguendo nelle sue ricerche, si inoltra nei meandri sotterranei dell’antico cimitero di Zebulònia e qui si perde in un grande labirinto e non fa più ritorno…

L’amico Ariete, allora, decide di andare a cercarlo. Anche lui, ripercorrendo i passi dell’etno-psichiatra, giunge nelle tombe sotterranee di Zebulònia. Qui vede le salme mummificate, antichissime, degli antenati zebulònesi e persino corpi di bambini morti incastonati nella roccia…

E infine giunge all’imbocco di un grande cratere vulcanico (inattivo) e vi si sporge per guardare dentro: vede così, o gli sembra di vedere, un enorme occhio che lo scruta (forse un simbolo divino che quindi evoca, alla fine, almeno a livello ideale, la salvezza). Anche di lui, poi, non si sa più nulla: né Ariete né Mario Sinus fanno ritorno dal loro viaggio-inchiesta a Zebulònia…

***
Un libro che indubbiamente ha il suo fascino. Il grande miscuglio di culture della Sicilia, il suo disgregamento etnico dovuto alla modernità e all’emigrazione…La ricerca delle proprie radici e di un mondo che, in gran parte, è andato perduto…
Ma veramente troppo complesso e cervellotico per i miei gusti.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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Whiteshark
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Re: Dolcissimo

Messaggio da Whiteshark »

"Dolcissimo" fu accolto molto favorevolmente all'estero più che in Italia, tanto che "Le Monde" si augurava che Bonaviri venisse premiato col Nobel per questo lavoro.
Remember:

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Re: Dolcissimo

Messaggio da Insight »

Non ho letto altri libri di Bonaviri, ma così a occhio, il Nobel mi sembra un tantino esagerato :)
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