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Una lepre con la faccia di bambina

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Insight
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Una lepre con la faccia di bambina

Messaggio da Insight »

Luglio 1976: a Seveso, in Lombardia, inizia il dramma della diossina. La nube velenosa, uscita dal reattore della fabbrica ICMESA, si posa silenziosamente sul terreno delle campagne circostanti e sui centri abitati. Il primo segno dell’avvelenamento è la moria improvvisa degli animali: i polli, i conigli, i passerotti, i piccioni, i gatti domestici. Persino gli insetti scompaiono. E sarà poi la volta dei bambini, che si ritroveranno il volto devastato dalla cloracne…

La popolazione, a lungo tenuta all’oscuro di quello che sta succedendo, assiste impotente alle operazioni di bonifica e poi alle evacuazioni e ai sequestri dei beni contaminati.

Oltre alla nube velenosa, bisogna fare i conti anche con quella dell’ipocrisia: la piccola comunità di Seveso, trovatasi improvvisamente a vivere un incubo, non vuole accettare fino in fondo la verità. Scatta un meccanismo perverso in cui si intrecciano vergogna, paura, pregiudizi, strumentalizzazioni politiche, interessi e speculazioni economiche, nonché motivazioni di carattere religioso, che fanno da contorno inquietante a quel dramma collettivo.

Ma intanto uno dei più gravi disastri ambientali del mondo si consuma davanti agli occhi di tutti, compreso quelli dei bambini e ragazzini, ai quali gli adulti cercano di nascondere la verità: un po’ perché il mondo dei piccoli e quello dei grandi sono rigorosamente separati e un po’ perché, mentendo ai loro giovani figli, le famiglie cercano di convincere anche se stesse che la verità è un’altra ed è quella più comoda.
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A rivivere la tragedia di Seveso, proprio attraverso l’esperienza di due ragazzini, fu un romanzo della scrittrice e divulgatrice scientifica Laura Conti (1921-1993), che fu anche consigliera regionale della Lombardia per il PCI, proprio nel periodo del disastro.
Il romanzo, intitolato Una lepre con la faccia di bambina, uscì per gli Editori Riuniti nel 1978.

I giovanissimi protagonisti sono due ragazzini di dodici anni, di nome Sara e Marco. Sono personaggi immaginari, ma per modo di dire: la loro storia, infatti, è “possibilissima”, molto più che verosimile, essendo stati proprio i bambini i più colpiti, fisicamente e psicologicamente, dall’intossicazione della diossina.

Sara e Marco sono molto amici, anche se le loro famiglie sono differenti. Sara è un’immigrata meridionale e vive insieme ai genitori, ai fratelli e a una sorella, tutti più grandi di lei, proprio nella zona più vicina alla fabbrica ICMESA. Marco, invece, abita più lontano dalla fabbrica, nell’interno del paese. E’ figlio unico e di famiglia più benestante: il padre possiede una piccola fabbrica di tappezzerie.

La madre di Marco non vede di buon occhio la famiglia di Sara. La ragazzina è una “vagabonda” e sempre vestita in maniera “trasandata”. Secondo la mamma di Marco, non si dovrebbe mettere al mondo tanti figli se poi non si è in grado di seguirli e di educarli. Da quando poi è successa la “storia della nube”, non vuole che suo figlio frequenti più la sua amichetta né nessun altro della famiglia di Sara.

C’è qualcosa, tuttavia, che a Marco non torna: da quando dalla fabbrica ICMESA si è sprigionata quella nube, i genitori non fanno che ripetergli che la diossina “non fa male”: allora, se non fa male, perché non vogliono che lui frequenti Sara e la sua famiglia? Perché deve andare a trovarla di nascosto?
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L’amicizia fra Sara e Marco è più forte di qualsiasi pregiudizio. I due ragazzini continuano a vedersi di nascosto. Marco è più controllato, Sara, invece, essendo una “vagabonda”, è molto più libera: così alla sera i due si danno appuntamento vicino alle sbarre della ringhiera del giardino di Marco, in un punto nascosto da un fitto cespuglio. Là, attraverso le sbarre, nascosti dalla vegetazione, i due si parlano e si passano giornalini e figurine.

Ma una sera di quel luglio del 1976, la ragazzina ha qualcosa di brutto da consegnare al suo amichetto: la sua gattina che, improvvisamente ammalata, forse sta morendo. Il sindaco ha dato ordine agli abitanti della zona che si trova vicino all’ICMESA, di uccidere tutti gli animali che non sono ancora morti. Ma lei non vuole che la sua gattina finisca uccisa: così la affida a Marco, che naturalmente la prende con sé e la nasconde in casa.

La gattina sopravvive solo alcuni giorni, poi muore senza che Marco possa fare nulla. Una mattina, il ragazzino prende la sua bici e di nascosto va a trovare Sara. Affranto, le consegna la piccola gatta ormai morta. Insieme, seppelliscono il cadaverino in un campo. Per la prima volta, Marco nota che le campagne nella zona dove abita Sara sono come… “morte”: non c’è più il brulichio degli insetti, non ci sono le vespe e nemmeno le mosche. Niente più uccellini, e anche i conigli e i polli, nelle gabbie, sono tutti morti. “E’ la diossina”, gli dice Sara.
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Qualche giorno dopo, Marco viene mandato in vacanza a Rapallo, da una zia, sorella della madre. Qui il ragazzino si rende conto di essere trattato dai suoi parenti come una specie di “appestato”: non appena arriva da solo col pullman alla stazione, la zia gli fa buttare via tutti i bagagli. Giunti a casa, gli fa fare un bagno nella vasca e lo strofina col detersivo e un disinfettante. Dopodiché gli fa trovare dei vestiti nuovi, comprati apposta per lui. I suoi vecchi abiti, biancheria compresa, sono spariti.

Tornato a Seveso, Marco trova tutto cambiato: la zona dove abita Sara è recintata col filo spinato. Ci sono cartelli dappertutto che vietano l’accesso. I soldati pattugliano la zona e uomini vestiti con delle tute bianche si aggirano all’interno. Entrano nelle case disabitate e svuotano tutto. Gli abitanti non ci sono più, sono stati tutti “evacuati”: li hanno portati a Milano, in un albergo; Sara compresa, e tutta la sua famiglia.

A casa gli dicono di stare tranquillo, anche se quando gli adulti parlano tra loro, lui viene mandato via: non può ascoltare i loro discorsi. Ma lui, furbo, si mette spesso a origliare e così sente. Capisce che i genitori sono molto preoccupati per quello che sta succedendo e che potrà ancora succedere: infatti, anche loro hanno trovato uno dei loro polli “misteriosamente” morto nel cortile. L’hanno subito seppellito in un campo. Nessuno deve saperlo, non bisogna dirlo a nessuno.

Passano pochi giorni e i soldati arrivano anche da loro: anche la zona dove abita Marco deve essere evacuata in poco tempo. Tutti devono andare via. Si scatena, allora, una protesta. Gli adulti non vogliono lasciare la loro terra e soprattutto le loro attività. Non è giusto evacuare: loro sono lontani dall’ICMESA, non sono stati avvelenati, non hanno avuto neanche un animale morto. E poi la diossina non fa male agli esseri umani…
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Marco e i suoi genitori, nonostante tutte le proteste, raggiungono l’albergo a Milano, insieme agli altri abitanti della loro zona, accompagnati in pullman. L’albergo è molto grande e lussuoso, un hotel a cinque stelle, e paga tutto la Regione Lombardia. Il servizio, però, lascia un po’ a desiderare. Il personale non tratta gli ospiti come dei turisti, ma lascia che si arrangino da soli. La cucina, poi, è quella di una mensa aziendale. Se qualcuno vuole degustare le prelibatezze dell’albergo deve pagare di tasca propria.

In quell’albergo ci sono tutti gli evacuati di Seveso, e anche Sara. Solo che la ragazzina, non si sa perché, se ne rimane sempre chiusa nella sua camera e non vuole vedere nessuno. Intanto, proprio durante i primi giorni dopo l’arrivo di Marco, iniziano a tornare dall’ospedale i primi bambini che sono stati ricoverati: sono come delle piccole mummie, hanno il volto completamente fasciato, con dei piccoli buchi soltanto per gli occhi, il naso e la bocca…

Col passare dei giorni, voci sempre più contrastanti e inquietanti girano per l’albergo e Marco si sente sempre più confuso. La maggioranza degli adulti continua a dire che la diossina non fa male agli umani. Altri, invece, dicono l’esatto contrario. Ci sono poi i “comunisti”, che dicono che la diossina è una delle “armi chimiche” che gli americani usavano durante la guerra del Vietnam contro i partigiani di un certo “O Ci Min”…

Marco scopre anche, da solo, che alcuni adulti, tra i quali suo padre, di nascosto organizzano delle spedizioni notturne per tornare a Seveso. Si introducono abusivamente nelle zone recintate e recuperano i beni che hanno dovuto abbandonare. Il padre di Marco recupera alcuni rotoli di stoffa dal magazzino della fabbrica per proseguire di nascosto la sua attività.

Un giorno, ai bambini-mummia vengono tolte le bende e si scoprono così i loro visi deturpati da grosse pustole gialle. Marco impara così una nuova parola: “cloracne”.
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Finalmente Sara si fa vedere. Anche lei ha il viso coperto di pustole, ma dice a Marco che si può stare tranquilli: non è la cloracne, la diossina non c’entra nulla. L’hanno mandata da un medico specialista, il quale le ha detto che si tratta di semplice “acne giovanile”. Sono “i brufoli dell’adolescenza”, insomma: Sara sta diventando grande, è tutta una questione di ormoni. La ragazzina è persino orgogliosa, quando rivela queste notizie a Marco, il quale si sente a sua volta un po’ mortificato, perché mentre la sua amichetta sta diventando una donna, lui sembra ancora molto lontano dal diventare un uomo: il suo corpo è ancora infantile, non ha nemmeno un pelo sulle gambe; quando arriverà anche per lui il momento di crescere?

Ma solo qualche giorno dopo, Sara, in lacrime, gli fa una nuova rivelazione, anche perché le pustole si sono ingrandite e il suo viso è sempre più deturpato: non è la crescita, ma è proprio la cloracne; anche lei è stata avvelenata dalla diossina. E’ stata in ospedale e finalmente le hanno detto la verità. Il medico che l’aveva visitata prima, anche lui lo sapeva, ma aveva mentito…

A ottobre ricomincia la scuola. Sara, ancora ammalata di cloracne, non ci viene, mentre Marco, che per fortuna non è stato contaminato, va ogni giorno insieme ad altri ragazzi nella scuola media di Seveso. A dire il vero, la scuola è mezza deserta e le lezioni si fanno a singhiozzo. Ogni tanto, infatti, arrivano gli uomini con la tuta bianca e scoprono che c’ è ancora diossina. Così la scuola spesso chiude per diversi giorni e gli alunni fanno ritorno all’albergo di Milano.
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Nel frattempo, una nuova puntata del dramma va in scena. Per l’albergo iniziano a girare delle strane donne vestite come delle “zingare”, che mostrano di nascosto delle fotografie di bambini appena nati e col volto deformato, che assomiglia a quello di una lepre. Sono anche quelli effetti della diossina: i bambini di Seveso nascono malformati per colpa della nube…

Queste cose, però, vengono dette di nascosto. Molti adulti si arrabbiano, non vogliono sentire i discorsi di quelle “zingare”, che cercano di convincere le ragazze di Seveso a non fare figli, per non mettere al mondo “bambini con la faccia di lepre”.

Inoltre c’è un problema: Assuntina, la sorella maggiore di Sara, è incinta, aspetta un bambino: nascerà anche lui con la faccia di lepre? Marco è sempre più confuso, peraltro ancora non sa bene come nascono i bambini, mentre Sara, in questo, si dimostra molto più informata di lui.

Durante la notte, Marco inizia a fare strani sogni, in cui pare che il mondo si sia “capovolto”: i bambini hanno la faccia di lepre e le lepri la faccia di bambino… Anche Sara, in quegli incubi che lo fanno svegliare di soprassalto e tutto sudato, gli appare deformata: come una lepre con la faccia di bambina…
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A poco a poco, Marco, mettendo insieme tutte le informazioni che gli arrivano e parlandone con Sara, capisce tutto. Quelle “zingare” sono le “femministe”, e vogliono che le donne, piuttosto che mettere al mondo bambini malformati per colpa della diossina, abortiscano. L’aborto, però, è vietato dalla legge: si può fare solo in certi casi: quando la madre è pazza o quando c’è pericolo di vita per lei e per il bambino che porta nella pancia.

Assuntina, la sorella maggiore di Sara, si trova proprio in mezzo a una grana del genere. Il fidanzato che l’ha messa incinta è fuggito, non ne vuole sapere di avere un figlio o una figlia con la faccia di lepre. Le femministe cercano di convincerla ad abortire, mentre un prete che la va a trovare di nascosto le propone di far nascere il bambino e poi di “darlo via”, a una coppia che conosce lui e che si è dichiarata disposta ad allevare il bambino anche se avrà la faccia di lepre…

Un brutto giorno, in ospedale, un medico fa ascoltare con lo stetoscopio ad Assuntina il battito del cuore del bambino che ha dentro la pancia, per farle capire che è vivo e che se lei abortirà, sarà come un omicidio…

Il caso va così a finire sui giornali. Le femministe e i comunisti ce l’hanno con il medico, che non doveva permettersi di fare quella cosa; i preti e i democristiani dicono invece che l’Assuntina deve far nascere il bambino, perché se anche avrà la faccia di lepre sarà pur sempre una creatura di Dio…
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La storia finisce tragicamente: Assuntina viene mandata dalla famiglia giù, nel Sud, dove c’è una “signora” che pratica gli aborti. Ma questa “signora”, quando vede la pancia dell’Assuntina, già molto grossa, non se la sente di fare nulla.

Così, l’Assuntina, sentendosi abbandonata, scappa per strada, si procura un ferro da calza e cerca di fare da sola…
Poi sta malissimo, perde sangue e non si regge in piedi. Cerca di raggiungere l’ospedale, ma sviene davanti all’ingresso. Viene soccorsa e portata in rianimazione, è molto grave e il bambino non nascerà.

Dopo essere stata per qualche giorno tra la vita e la morte, l’Assuntina se ne va all’altro mondo.

Quando Sara racconta queste brutte cose a Marco, la sua faccia è in via di guarigione, i brufoli si vedono molto meno. Anche a Seveso sta tornando a poco a poco la normalità. Tuttavia, la famiglia di Sara, dopo tutto quello che è successo, ha deciso di ritornare giù nel Sud.

Marco e Sara, proprio mentre la loro amicizia infantile si stava trasformando in qualcosa di più tenero e maturo, si danno così l’ultimo, dolce e amaro, saluto. Cresceranno separati, lontani, e forse non si vedranno mai più. Ma non si dimenticheranno mai l’uno dell’altra, come non dimenticheranno mai la nube di diossina, che continuerà ad aleggiare come un’ombra nella loro vita.

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Una storia dolce e crudele, su una tragedia ormai dimenticata. Non un freddo resoconto scientifico, ma un racconto vivo e palpitante, che svela i retroscena “politici” (in senso molto ampio) della sciagura, ma anche e soprattutto il dramma umano che si consumò sotto la coltre invisibile di diossina e di… ipocrisia. E che ricorda a tutti che a pagare il prezzo più alto di quel disastro ecologico sono stati i bambini.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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