Un romanzo difficile da riassumere, vista la pochezza degli avvenimenti, ed essendo piuttosto fumoso, sfuggente, diciamo pure inconcludente (a mio parere)…
Narrato in prima persona da un uomo di quarant’anni, sposato e con un figlio decenne. L’uomo è affetto da una specie di “apatia” o “indifferenza”, una barriera tra se stesso e il mondo che lo circonda, che gli impedisce di stabilire rapporti duraturi con le persone, di provare affetti, di partecipare alla vita.
Tanto per chiarire, ecco la condizione in cui egli si trova descritta da lui stesso: “Una strana fissità, un modo di guardare complessivo alle cose senza alcun particolare sentimento, chiuso in una solitudine autosufficiente e senza vie d’uscita”.
Il pensiero corre immediatamente al Mersault de Lo straniero, con la differenza, tuttavia, che il protagonista di questo romanzo è ben consapevole della condizione in cui si trova e ne soffre. Vorrebbe cambiare o almeno capire quando è cominciata questa sua apatia, da che cosa essa è scaturita…
Così, ripensando al suo passato, ecco emergere un episodio dell’infanzia da cui potrebbe essere iniziata la sua chiusura nei confronti del mondo (ma non è certo che sia questo il trauma).
Era piccolo, avrà avuto sei-sette anni, viveva ancora in campagna con i genitori e con i nonni. Un giorno correva felice per le strade del paese stringendo una pannocchia che aveva appena rubato nei campi. Voleva mostrarla orgoglioso ai suoi familiari, invece si trovò davanti, sulla soglia di casa, la figura severa di suo nonno, alto e con la catenina dell’orologio che gli usciva dal panciotto, che lo rimproverò per aver commesso quel piccolo furto. Fu un vero e proprio shock per il bambino, che corse via in lacrime, distrutto, andò a infilare la pannocchia in un tombino per non vederla più e si sporcò tutto il braccio di fango. Pianse fino a sera inoltrata e a nulla servì che gli adulti, compreso il nonno, cercassero di consolarlo. Egli sentì, quella volta, senza riuscire a comunicare a nessuno il suo dolore, che aveva perduto per sempre la purezza. E se anche in seguito, nella sua vita, ebbe momenti di felicità, l’episodio della pannocchia non poté mai dimenticarlo…
A dire il vero, in seguito non sono mancati nella sua vita altri momenti drammatici che sicuramente avranno influito sulla sua maniera di rapportarsi col mondo: la morte precoce di entrambi i genitori quando era alle soglie dell’adolescenza; gli anni trascorsi in orfanotrofio; la guerra, che gli ha lasciato soltanto “la disperata volontà di chiudersi in sé per non vedere e non sentire…”.
L’incontro con Vittoria, la donna che poi ha sposato, è invece sicuramente uno dei momenti felici, che però aveva assunto soprattutto la consistenza di una “promessa”, che poi è stata delusa. Come deludente è anche il rapporto con Paolino, suo figlio, dal quale si sente “estraneo”, “escluso” (non riuscirà mai a sapere, ad esempio, che cosa suo figlio pensa veramente di lui).
________________
Se questi sono gli antefatti, che occupano la prima parte del libro, nella seconda e nella terza assistiamo a una sorta di tentativo da parte del protagonista di rompere la “barriera” fra se stesso e le cose.
Infatti, dopo tanti anni che non lo faceva, egli decide di raggiungere la moglie e il figlio in una località in riva al mare (non si sa dove), presso la pensione che Vittoria gestisce ogni anno nei mesi estivi.
Ma anche qui, nonostante in questi luoghi abbia trascorso i momenti più felici della sua vita (quelli della “promessa”), egli sperimenterà ancora la sua condizione di isolamento affettivo ed emotivo.
Anzi, il constatare che una ragazza del posto che ricordava bambina è cresciuta ed è ormai una donna, ad esempio, lo fa sentire a disagio, perché gli dà la misura di quanto tempo sia trascorso mentre lui è rimasto chiuso oltre la sua barriera.
L’incontro casuale con il suo vecchio capitano dei tempi della guerra, gli fa sentire con dolore che anche il suo passato è insignificante per lui, non è degno di essere ricordato (mentre il capitano è molto orgoglioso dei “vecchi tempi”).
L’assistere ad avvenimenti tragici, come una violentissima tromba d’aria che causa ingenti danni e feriti sulla spiaggia, e addirittura la morte per affogamento di una bagnante (la moglie del capitano) lo fa sentire ancora “distante”, incapace di partecipare con un autentico trasporto emotivo a quelle tragedie. Ma qui, forse, è più evidente che questa “barriera” è una sorta di “difesa”, un non voler partecipare emotivamente per non soffrire… Il suo rifiuto del mondo è forse rifiuto della sofferenza che c’è nel mondo.
_________________
Anche tornare a fine estate, soltanto per un giorno, nel paese della sua infanzia, alla ricerca delle radici di quel “male di vivere”, non sortisce gli effetti sperati: nessun trauma viene rimosso, come forse il protagonista sperava. Ma si tratta, ancora una volta, di un’esperienza deludente: come quando si va in soffitta a cercare cose vecchie e polverose per soddisfare il bisogno infantilesco di farlo e si ritorna con un senso di disgusto perché si scopre che le cose non hanno resistito all’ingiuria del tempo e ci si sente “traditi” (sono parole sue).Infine, lo scoprire, di ritorno dalla breve escursione nel paese d’origine, che sua moglie aspetta un altro bambino non lo rende felice di una felicità propria, ma soltanto “riflessa”. In pratica, sembra di capire che l’unica chiave di esistenza possibile per lui sia quella di accontentarsi di guardare la felicità di sua moglie e di suo figlio (per adesso solo Paolino, ma fra poco ci sarà anche il fratello), mentre lui non riesce a sentirne una propria.