Nato a Creta nel 1911, trascorse tanta parte dell’infanzia nelle isole di Lesbo e Spetses, e ciò condizionerà fortemente la sua poesia, in cui è molto vivo l’ “elemento naturale”. Egli stesso, infatti, richiesto una volta di commentare le proprie origini, disse: “I miei anni infantili sono pieni di canneti, ho avuto bisogno di molto vento per crescere. Solo così però ho imparato a distinguere i sibili più impercettibili, a muovermi chiaramente dentro al mistero…”.
Trasferitosi ad Atene, già negli anni Trenta, quando era ancora uno studente di Legge, pubblicò le sue prime raccolte di poesie. Andò poi in Albania a combattere contro le truppe di Mussolini, che l’anno seguente, nel 1940, invasero anche la Grecia. Dall’esperienza della guerra nascerà la sua raccolta Canto eroico e funebre per il sottotenente caduto in Albania (1943).
Nel dopoguerra si trasferì per un lungo periodo a Parigi, dove entrò in contatto con artisti e letterati molto famosi e legati all’ “avanguardia” di quei tempi: Chagall, Picasso, Matisse, Breton, Reverdy…
Tornato ad Atene, raggiunse l’apice del successo con la raccolta Dignum est (che in seguito fu anche musicata da Theodorakis), ottenendo il Premio Nazionale di Poesia nel 1960 e divenendo una personalità eminente della cultura greca.
Giunti al potere i colonnelli, nel 1967, Elitis si ritirò dalla vita pubblica e rifiutò ogni riconoscimento o premio istituito dal regime. Non si fermò tuttavia la sua produzione letteraria, che anzi proseguì con la pubblicazione di altre importanti raccolte quali L’albero di luce e la quattordicesima bellezza e Sole l’Imperatore, entrambe del 1971, I fratellastri (1974), il Libro dei segni (1977).
Anche dopo l’assegnazione del Nobel, Elitis continuò a scrivere e a pubblicare raccolte di poesie; in pratica fino alla sua morte, avvenuta nel 1996.
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Tutta la poesia di Odisseas Elitis, fin dalle origini della sua lunga produzione, come egli stesso disse nel suo discorso pronunciato dinanzi agli Accademici di Stoccolma, si fonda sulla considerazione che esistono due diverse realtà: una è quella che noi viviamo ogni giorno, che è “corrotta”, distorta dalle nostre pulsioni utilitaristiche e nella quale, sostanzialmente, l’uomo vive “contro natura”. L’altra realtà è quella “superiore”, che non si vede, ma è quella “vera”, che svela “l’essenza degli esseri”…
La Poesia, allora, è il “superamento della realtà quotidiana”; un mezzo che grazie al suo particolare linguaggio ci avvicina (anche se non ce lo svela completamente) al “mondo superiore”.
Dunque si tratta di una poesia “metafisica”, che tende a “svelare l’altro mondo”, a “illuminare” la realtà quotidiana con i barlumi della seconda e superiore realtà…
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Ho letto diverse poesie di Elitis, ma, sinceramente, quelle che mi hanno maggiormente colpito appartengono alla sua produzione più tarda. In particolare, ne riporto qui di seguito due che considero molto belle, tratte dalle Elegie di Oxòpetra (1991).Mezzanotte passata
Mezzanotte passata in tutta la mia vita
La testa pesante come in una Galassia abbassata
Dormono gli uomini dal volto argentato: santi
Svuotati dalle passioni e che il vento li sospinge lontano
Al capo del Grande Cigno. Chi è felice, chi no
E poi?
Tutti finiamo là per ultimi rimangono
Un’amara saliva e sul tuo volto non raso
Lettere greche incise che lottano per combaciare l’una con l’altra
perché
La parola della tua vita l’unica se…
Mezzanotte passata in tutta la mia vita
Passano i camion dei pompieri, per quale incendio
Non si sa. Una stanza quattro metri per cinque piena di fumo.
Spuntano solo
Il foglio di carta e la mia macchina da scrivere. Dio
Batte i tasti e smisurate sono le pene fino al soffitto
Presto verrà l’alba
per un attimo appare la costa e sopra
Erette le montagne scure e viola. Forse è vero che
Vivo per quando non ci sarò.
Mezzanotte passata in tutta la mia vita
Dormono gli uomini su un fianco, l’altro
Aperto lo vedi sollevare onde
Onde la vita e la tua mano tesa
Come quella del morto l’attimo in cui gli viene presa la prima verità.
La pallida morte
Senza odore la morte eppure
La senti con le narici come
Un fiore. Si frappongono silenziosi edifici, tetragoni
Dagli infiniti corridoi ma con insistenza
Il suo odore attraversa pieghe di bianche lenzuola o cortine
Scarlatte per tutta l’ampiezza della stanza
Talvolta un improvviso riflesso di luce
Poi di nuovo soltanto le ruote delle carrozze
E la vecchia litografia con l’icona
Dell’Annunciazione quale appare nello specchio
Quando, con la mano distesa Lui
Che come annuncia tace, come spartisce prende
Pallido e con aria colpevole (come chi non vuole ma deve)
Afferra e spegne dentro di me ad uno ad uno
I globuli rossi, come il sagrestano i ceri l’ora in cui
Finiscono tutte le orazioni
“Per rendere mite il vento e il mondo intero”
E soprattutto “per quel che ogni uomo ha in mente”,
e la riunione dei fedeli si scioglie
Ah quante cose! Ma come in quale
Maniera può apparire “il non detto”
Ché mentre con gli iris e le amarilli canta maggio
E scende verdeggiante fino al mare
Quando qualcosa dei suoi antichi segreti sussurrando
Confida, resta muto l’uomo
Solo l’anima. Lei
Come madre di implumi nel pericolo apre le ali
E dalle tempeste poche briciole di quiete
Con pazienza raccoglie, così che domani e dopodomani
Quello che hai in mente con nuove piume lucenti
Si apra ai cieli e si aprano e chiudano pure ingiustamente le porte
Nelle dimore celesti
Lo sa l’Angelo. E timidamente ritrae il dito
Di nuovo si fa azzurro l’oro e un profumo
Di mirra bruciata sale fino alla cupola rosata
D’improvviso si accendono le candele in tutti i candelabri
Poi tutti seguono. Impronte sulle foglie bagnate
Perché anche gli uomini amano le tombe e con devozione vi
Depongono bei fiori
Ma, tra loro, la morte, nessuno sa dire nulla
Solo il poeta. Il Gesù del sole. Colui che sorge dopo ogni sabato
Lui che E’. Era e Sarà.