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Il sipario ducale

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Insight
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Il sipario ducale

Messaggio da Insight »

Romanzo uscito nel 1975, che si aggiudicò in quello stesso anno il premio Viareggio Narrativa, scritto da Paolo Volponi, poeta, scrittore e senatore della Repubblica.

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La storia è ambientata prevalentemente a Urbino, nel breve periodo che va dai giorni della strage di piazza Fontana e fino al 1° gennaio 1970.

Protagonista principale è l’anziano professore di Lettere Gaspare Subissoni, ex combattente anarchico nella guerra di Spagna, mutilato di un occhio in seguito a un colpo di baionetta, e sposato da molti anni con Vivés Guardajal, un’intellettuale catalana incontrata nei giorni della guerra civile contro Franco, con la quale ha condiviso la passione politica, l’ardore delle battaglie e il carcere.

Ora, alla fine degli anni Sessanta, il professor Subissoni è una specie di “relitto del passato”, una figura un po’ romantica che si aggira solitaria per le vie di Urbino e che improvvisa “comizi” nelle osterie. Tutti lo conoscono almeno di vista e generalmente lo rispettano per il suo passato, soprattutto per non aver mai accettato compromessi, neppure sotto il regime fascista. I più lo considerano, seppur bonariamente, un “matto”.

La sua amata moglie Vivés fa la traduttrice dallo spagnolo all’italiano, lavora per una cooperativa e provvede al mantenimento suo e del marito, anche se è molto cagionevole di salute.
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L’altro protagonista del romanzo è una figura piuttosto antitetica a quella di Subissoni. Si tratta del giovane conte Oddo Oddini, ultimo rampollo della famiglia degli Oddi-Semproni, signori di Urbino in epoca rinascimentale, e che attualmente vive nel palazzo ducale insieme a due zie che lo viziano come se fosse ancora un bambino, assecondando ogni suo capriccioso desiderio.

Oddo, detto “Oddino”, raggiungerà la maggiore età, compiendo ventuno anni, l’8 gennaio 1970. Ha abbandonato gli studi e passa le giornate nel grande palazzo ducale nel più completo ozio, servito e riverito dalle due zie.
Spesso annoiato, quando Oddino vede alla televisione le immagini dell’intervallo, se individua una località o un monumento che gli piace decide di andare a visitarlo.

Così, ad esempio, un giorno si fissa sul ponte girevole di Taranto e “costringe” le sue zie a fare un lungo viaggio in macchina per andare a vedere l’opera di alta ingegneria. Ad accompagnarli nel viaggio è l’autista di servizio Giocondo Giocondini con la sua lussuosa Mercedes.

Il Giocondini è un personaggio “viscido”. Egli infatti si approfitta dell’ingenuità delle zie e del fatto che il loro giovane nipote vive ancora nella bambagia. Non solo asseconda, ma anche incoraggia i desideri capricciosi del “contino”, mettendosi di buon grado a disposizione della famiglia e facendosi pagare profumatamente.

Peraltro gli Oddi-Semproni sono nobili ormai decaduti e il loro patrimonio è prevalentemente immobiliare, mentre hanno scarsa disponibilità di denaro liquido. Il Giocondini è diventato così il loro principale creditore. Il progetto dell’autista-servitore è quello di accumulare un credito sufficiente ad espropriare una villa di proprietà degli Oddi-Semproni che si trova nelle campagne intorno a Urbino ed è disabitata.
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Molto differenti sono le reazioni dei vari personaggi alla notizia dello scoppio delle bombe, il 12 dicembre 1969. Le due zie inveiscono davanti alla televisione contro anarchici e comunisti, ma ce l’hanno anche coi preti e i democristiani che non fanno nulla per proteggere la società e difendere i valori tradizionali. Oddino rimane pressoché indifferente. Per il professor Subissoni, divenuto ormai cinico e disaffezionato alla politica, la strage di Milano è invece la riprova che gli anarchici di un tempo non esistono più e questi di oggi sono solo dei bombaroli nichilisti che agiscono senza uno scopo.

Vivés, che al contrario del marito ha mantenuto dei contatti con i circoli anarchici, è invece convinta che non possono essere stati loro. Non si dà pace e convince il marito (brontolone ma buono) ad accompagnarla a Milano per svolgere un’inchiesta e capire che cosa c’è sotto alla strage di piazza Fontana.

Ma pochi giorni prima della partenza, Vivés è colta da un malore per strada. Il marito la soccorre e la cura amorevolmente. Siccome non è la prima volta che accade, entrambi pensano che sia l’ennesimo affaticamento del cuore. Invece, la mattina dopo Subissoni trova la moglie morta nel letto.

L’anziano professore sulle prime si lascia andare alla disperazione, ma poi reagisce e decide di esaudire il desiderio della moglie, che era quello di essere cremata dopo la morte. A Urbino, tuttavia, non si effettuano cremazioni; è necessario andare a Bologna. Subissoni, così, fa caricare la cassa della moglie su un carro funebre e la accompagna nel suo ultimo viaggio.

Giunto a Bologna, essendoci in mezzo le feste di Natale, è necessario aspettare. Subissoni trascorre così un giorno e una notte intera a vegliare il feretro della moglie, ripercorrendo con la memoria il suo glorioso passato di combattente anarchica, gli anni della guerra e della galera. Finché, dopo un ultimo e commovente saluto, assiste alle operazioni di cremazione.
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Nel frattempo a Urbino, nel palazzo degli Oddi-Semproni, fervono i preparativi per il Natale. Le zie di Oddino, inoltre, sono preoccupate perché il loro “nipotino”, che sta per diventare maggiorenne, non ha ancora pensato a farsi una posizione e non ha nemmeno mai frequentato una donna. Chiedono così al loro autista e servitore di accompagnare un po’ in giro il giovane Oddino e di fargli conoscere qualche ragazza, naturalmente di buona famiglia.

Giocondini, che in realtà ha tutto l’interesse a che Oddino continui a vivere come un fessacchiotto sulle spalle delle zie, accetta di buon grado l’incarico (iscrivendo un’altra cifra a suo credito) e accompagna il contino a Fano con la Mercedes.

Ma anziché fargli conoscere una “ragazza di buona famiglia”, lo porta da due prostitute, convinto che il giovane, non avendo alcuna esperienza, farà cilecca e tornerà abbacchiato tra le braccia delle zie.

Con gran dispiacere dell’infido autista, Oddino invece se la cava più che egregiamente ed esce dalla camera da letto tutto gongolante e pienamente soddisfatto. Giocondini, allora, prima di riaccompagnarlo a casa, decide di giocargli un altro brutto tiro. Lo presenta a una sua vecchia conoscenza, una prostituta con fama di “mangiatrice di uomini” (che secondo lui dovrebbe “scioccare” il ragazzo), conosciuta a Fano come “la leoparda”.

Senonché la leoparda, che accoglie il contino nel suo postribolo, è a letto con l’influenza e quindi non se ne fa nulla. Qui, però, Oddino conosce una splendida ragazza di nome Dirce, che lavora come cameriera e servitrice della leoparda e dalla quale rimane “folgorato”. Il giovane passa soltanto alcune ore in sua compagnia e decide che si tratta della donna della sua vita.

Nei giorni di Natale, Oddino fa venire Dirce nel palazzo ducale e la presenta alle zie, che naturalmente non sono affatto contente, perché capiscono subito che si tratta di una ragazza povera, di basso ceto, che non potrà certo essere una moglie degna del loro nobile nipote.

La stessa Dirce si trova a disagio in mezzo al lusso del palazzo e un giorno, stupidamente e senza nemmeno rendersene conto, Oddino (che non è cattivo ma manca di ogni sensibilità), la offende pesantemente ricordandole le sue umili origini di contadina. La ragazza, finite le vacanze di Natale, avendo capito che quel mondo non fa per lei, decide di fare le valigie e di fuggire dal palazzo all’insaputa di Oddino.
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A questo punto (siamo negli ultimi giorni di dicembre), le due vicende parallele si incrociano. Dirce, in fuga con le valigie dal palazzo ducale, cade per strada e si ferisce alle ginocchia. Dolorante, capita proprio davanti all’uscio del professor Subissoni appena tornato da Bologna, che le presta soccorso e la accoglie in casa.

Il giorno dopo, mentre Subissoni, piuttosto alticcio, tiene uno dei suoi “comizi” in una bettola, viene udito dall’autista Giocondini, che come tutti a Urbino conosce di vista il vecchio anarchico “matto”.

L’idea politica di Subissoni, che ormai da anni egli ripete come una specie di vaneggiamento, ma che è sempre stata la “sua idea”, è quella del “federalismo anarchico”. Per Subissoni, la rovina dell’Italia, storicamente, è stata la sua unità, perché si è trattato e si tratta tutt’ora soltanto di un’unità di potere, voluta dalle classi dominanti e non dal popolo.

Da ragazzo, nel 1921, alla vigila dell’anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, nottetempo, senza essere visto da nessuno, Subissoni aveva tracciato in un campo, calpestando coi piedi lo strato di neve, una scritta enorme: “ʍ l’Italia U.”, dove la U. col puntino, anche se nessuno l’aveva capito, stava per Unita.

Unificate, amalgamate e infine schiacciate dal potere centrale, che ha fatto della corruzione la propria bandiera, le differenti realtà locali del Paese, secondo il professor Subissoni, sono state soffocate nel loro sviluppo economico, culturale e sociale. Occorre quindi superare lo Stato centrale e dare un vero potere alle autonomie locali, lasciando che il popolo di ogni comune d’Italia si riappropri del proprio spazio di libertà e si autogoverni.

Il Giocondini, udendo il discorso del professore, che riceve anche parecchi applausi dagli avventori della bettola, prova ad architettare uno dei suoi maldestri piani per trarne un proprio personale vantaggio…
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Nel frattempo il conte Oddino sta cercando la sua “innamorata” per tutta la città; è convinto che qualcuno l’abbia rapita e vorrebbe trovare un personaggio di una certa influenza a Urbino, una sorta di intellettuale che lo aiuti a scrivere un manifesto-appello da affiggere ai muri per convincere i rapitori a rilasciare la ragazza.

Il “furbo” autista Giocondo Giocondini combina allora un incontro al palazzo ducale tra il giovane conte Oddo e l’anziano Subissoni. La sua idea è di far scrivere al professore un vero e proprio “manifesto politico”, che non solo miri ad ottenere la liberazione della ragazza, ma che lanci una nuova formazione politica “autonomista”, con il conte Oddo Oddini a capo del movimento.

L’incontro, tuttavia, va malissimo. I due personaggi non hanno proprio nulla a che spartire tra loro. A Oddino interessa soltanto ritrovare la ragazza, non ha alcuna idea politica e comunque disprezza sia gli anarchici che i comunisti. Subissoni, per parte sua, capisce benissimo che il ragazzo è un allocco completamente manovrato dal subdolo Giocondini.

Tornato a casa, dove tiene nascosta Dirce, il professore progetta di fuggire a Milano insieme alla ragazza. La mattina del 1° gennaio, Subissoni fa venire un taxi da Pesaro. Ma Giocondini, che gli sta alle calcagna, scopre tutto e va subito ad avvisare Oddino, rivelandogli che il professore sta fuggendo insieme alla bella Dirce.

Giocondini e Oddino saltano sulla Mercedes e si lanciano all’inseguimento dei fuggiaschi in direzione di Pesaro. Ma procedono a velocità troppo elevata e, affrontando una curva, una lastra di ghiaccio li tradisce. Giocondini sbanda, cerca disperatamente di raddirizzare la vettura ma non ce la fa…

Il libro si chiude così, con l’uscita di strada della Mercedes, senza che siano specificate le conseguenze dell’incidente.
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Romanzo scritto in un linguaggio elegante e ricercato, e allo stesso tempo scorrevole e avvincente, che si legge con facilità e interesse. Tuttavia, a mio parere, esso ha anche il difetto di non prendere mai una direzione decisa. A tratti sembra quasi un romanzo dell’Ottocento. In altri passaggi è brillante e persino comico. Ci sono poi riferimenti politici, sociali e storici, e non mancano punti drammatici e commoventi. Nelle ultime pagine, il rocambolesco finale, probabilmente tragico. Insomma, in questa storia, che si svolge tra il crepuscolo degli anni Sessanta e l’alba del nuovo decennio nella splendida città di Urbino, c’è dentro un po’ di tutto. Forse anche troppo…
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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