Per l’Autore, il 1978 era l’anno della maturità scolastica. Ai primi di luglio, in quell’intervallo di tempo tra gli esami scritti e gli orali, che tutti gli ex maturandi ricordano come piuttosto angosciante, lui e un gruppo di compagni di classe si ritrovavano nella sua casa estiva di Mondello, vicino a Palermo, per studiare e ripetere insieme, fino allo sfinimento in un caldo torrido, le materie da preparare per la fatidica interrogazione finale…
Ogni giorno che passava, poi, il gruppo si assottigliava sempre di più, mano a mano che i ragazzi andavano, a turno, ad affrontare la commissione… Finché nella casa di Mondello rimasero soltanto in quattro, gli ultimi a dover andare “sotto torchio”…
Ma quella del 1978, purtroppo, e senza che Roberto lo sapesse, fu anche l’ultima estate in cui egli vide sua madre: l’ultimo incontro fu proprio in un pomeriggio dei primi di luglio, quando lui e i suoi tre amici decisero di prendersi una pausa dallo studio e uscirono nella calura per andare a gustarsi un buon gelato…
Roberto percorse, allora, insieme ai suoi compagni, la stradina sotto casa, lunga trenta metri, che sbocca sulla via Stesicoro. Quante volte da bambino aveva percorso quella stradina con la bicicletta, avanti e indietro, senza mai sbucare sulla via principale, il cui sbocco rappresentava allora le “colonne d’Ercole”, che non si potevano oltrepassare…
Quel pomeriggio di quarant’anni fa, invece, Roberto, ormai diciannovenne, superò le vecchie “colonne d’Ercole” e si trovò davanti, molto sorpreso, seduta sul muricciolo di via Stesicoro, sua madre, che ormai non viveva più con lui perché si era separata dal padre. Era venuta a cercarlo per un saluto. L’ultimo, anche se lui lo seppe soltanto dopo…
“Bisognerebbe provare a stilare una specie di Repertorio delle Gioie Irrecuperabili”, scrive Alajmo in uno dei passi più suggestivi del suo romanzo. “Quel genere di piaceri che non siamo in grado di cogliere sul momento, e di cui ci rendiamo conto solo qualche tempo dopo, quando ormai sono impossibili da conseguire o riprodurre. Esistono gioie che avevamo in pugno e abbiamo lasciato andare, se non gettato via, come succede con i campioncini di profumo offerti in distribuzione gratuita…”.
Ecco, allora, alcuni esempi di “Gioie Irrecuperabili” da parte della maggior parte delle persone che hanno passato i cinquant’anni: leggere senza occhiali, mangiare frittura a cena, accovacciarsi sulle ginocchia, dormire per una notte intera senza interruzioni, asciugarsi i capelli andando in motocicletta, fare l’amore con una certa persona, abbracciare un genitore…
Come seguendo il movimento di un pendolo, la narrazione e la meditazione di Roberto Alajmo oscillano continuamente tra passato e presente, fra il tempo che precede anche di molto l’estate del 1978 e quello che la segue e che arriva fino ai giorni nostri…
Viene così ripercorsa la storia dei genitori di Roberto, Elena e Vittorio: di quando si sono conosciuti e fidanzati; dei tempi in cui si scrivevano lettere d’amore mentre il futuro padre dell’Autore era sotto le armi; di quando, finalmente, sono nati lui e suo fratello Marcello…
Attraverso le fotografie e i disegni e i quadri di Elena, che oltre ad essere una bravissima maestra elementare, molto amata dai suoi alunni, era anche una promettente pittrice, Roberto rivive momenti di vita familiare, anche molto felici, come il viaggio a Parigi nella primavera del 1969 o, più semplicemente, come le piacevoli serate passate a guardare Rischiatutto alla televisione, sul lettone insieme ai genitori e al fratellino…
Ma vengono rievocati anche i drammi familiari: la fine lenta e dolorosa del padre, Vittorio; i primi segni della malattia di Elena, il suo sprofondare nella depressione e nella dipendenza da psicofarmaci, e la separazione dei genitori, avvenuta due anni prima dell’estate del ‘78…
Fino ad arrivare, purtroppo, al tragico gesto di Elena, che si tolse la vita soltanto dopo tre mesi da quell’ultimo incontro di luglio in via Stesicoro…
A fare da contrappunto agli episodi del passato, sono le continue incursioni nel tempo più recente. La nascita del figlio, Arturo, avvenuta alla fine del 1994, rappresenta certamente un punto di arrivo nella vita dell’Autore, ma anche un avvenimento che segna la continuità con il passato e che a quella storia familiare, filtrata attraverso la fatidica estate del ’78, restituisce pienamente il senso.
Il fluire della vita, fin da quando siamo bambini, ci riserva gioie incontenibili, ma anche dispiaceri cocenti, dolori che lacerano l’anima. Dal giorno alla notte, dalla notte al giorno. E così via, sino alla fine. Dall’esperienza della paternità o maternità alla perdita dei genitori. Ma cosa possiamo fare, noi esseri umani, se non stoicamente accettare tutto questo?
E anche il dolore immenso e lo sgomento provato per il suicidio di una madre – un gesto così apparentemente incomprensibile – può acquistare un senso, se c’è un dopo, se dentro di noi sappiamo che dopo la notte viene sempre l’alba, e se della vita sappiamo accettare tutto, sia il bene che il male.