In caso di errore durante il login ("Il form inviato non è valido"), dovete cancellare tutti i dati del forum dalle impostazioni del vostro browser (cookies, dati, cache). Provate anche prima il "cancella cookie" che trovate in basso in tutte le pagine del forum (icona cestino se siete in visualizzazione mobile) e poi a cancellare dalle opzioni del browser. Chiudete le schede e riavviate. Se ancora non riuscite, non avete cancellato tutto (fate una prova da altro browser o dispositivo, vedrete che funziona).

25 Gennaio 1972

Rispondi
Avatar utente
kabakron
Settantiano in prova
Settantiano in prova
Messaggi: 40
Iscritto il: gio 4 set 2014, 16:33
Località: Ancona

25 Gennaio 1972

Messaggio da kabakron »

Prologo

Per mera onestà intellettuale, va detto che all'epoca dei fatti avevo solo cinque anni e non posso escludere che, qualcosa di ciò che rammento, non sia stato influenzato dai tanti racconti ascoltati nel corso degli anni.




Di certo ricordo che, attorno alle nove di sera, io e la mia famiglia stavamo cenando. Alla televisione davano uno sceneggiato, di cui capivo ben poco, ma che mi affascinava per la sua aura di mistero, si trattava di “A come Andromeda” (e, anche se ancora non potevo saperlo, negli anni sarei diventato un appassionato del genere).
D'un tratto si udì un imponente e prolungato boato, fu come se la terra stessa avesse preso a gemere e a lamentarsi con forza inaudita, poi tutt'intorno a me, il mondo cominciò a tremare con una violenza che ci colse del tutto impreparati.
Io rimasi come paralizzato, venni sopraffatto da un misto di stupore e spavento, provai allora a cercare conforto guardando i visi dei miei genitori, ma ciò che lessi nelle loro espressioni mi atterrì ancora di più.
Mio padre, seduto a capotavola, fu il primo a muoversi, mi abbrancò cercando di districarmi dalla sedia, ma io ero così terrorizzato da essermi abbarbicato ad essa, così lui fu costretto a sollevarmi e a trasportarmi di peso con tutta la sedia, fino alla soglia di casa; solo lì riuscì a separarmi da quella seggiola che la paura sembrava aver reso un tutt’uno con il mio corpo.
Raggiungemmo velocemente l'esterno, seguiti da mia madre e mia sorella, fortunatamente, abitando al primo piano, solo due rampe di scale ci separavano dalla strada. Nel giro di brevissimo tempo, praticamente tutti gli altri condomini del palazzo, ci raggiunsero riversandosi nella via.
Non saprei dire quanto durò effettivamente quel sisma, probabilmente pochi secondi, che noi però vivemmo, soggettivamente, come una piccola eternità di paura. Nessuno mi aveva mai spiegato cosa fosse un terremoto, tanto meno, nessuno mai mi aveva preparato a quelle sensazioni di estrema insicurezza e di caducità che lo accompagnavano. Quando la cosa che ritieni più salda al mondo, il pavimento della tua stessa casa, inizia a tremare violentemente, tutte le tue sicurezze prendono a vacillare alla stessa stregua.
Una volta giunti in strada, mio padre sorridendo, mi fece aprire la mano destra; al suo interno, serrata in una stretta spasmodica, tenevo ancora la forchetta con cui, solo pochi istanti prima, stavo mangiando.
Mi presero bonariamente in giro per quella piccola cosa e la familiarità di quell'atto, un po' ci tranquillizzò. Ancora di più ci tranquillizzò vedere che il nostro palazzo, come tutti quelli limitrofi, sembrava aver accusato il colpo piuttosto bene, almeno stando a quel poco che potevamo scorgere alla bassa luce di quelle lampade a sospensione.
Al tempo, infatti, la mia via non disponeva di veri lampioni. Dal centro della strada, simili a piatti di metallo rovesciati, piccole lampade circolari appese ai fili della luce, diffondevano uno scarso chiarore. Ricordo come, tra un piattino e l'altro, si aprissero minacciose pozze di buio, all'interno delle quali prosperavano molte delle mie infantili paure. Quando poi si alzava un po' di vento, quei piattini sospesi prendevano ad oscillare rendendo l'illuminazione già non troppo efficace, ancora più traballante e discontinua.
Fu solo qualche anno dopo che arrivarono, almeno in quel tratto di strada, i lampioni stradali, quelli formati da un grosso e stabile pilone in cemento (vivaddio!), al quale era attaccata la lampada vera e propria.
La situazione era irreale; la penombra della sera, tutta quella gente che vociava spaventata e la quasi totale assenza di traffico, concorrevano a formare uno scenario, ai miei occhi, nuovo e inquietante.
Si fece un gran parlare, ognuno desideroso di confrontare la propria paura, nella remota speranza che raccontare, servisse ad esorcizzare un po' quel timore reverenziale, inevitabile compagno delle più imponenti manifestazioni della natura.
Frasi come, "Mai sentito niente di simile!", "Proprio come nel Trenta, signora mia!" o "Tremava tutto!" la fecero da padrone.
Quando gli animi si calmarono, molti degli astanti, temendo si verificassero altre scosse, decisero di passare la notte nel bar di quartiere, che distava poco più di un centinaio di metri da casa mia.
Si trattava di una struttura in cemento, piuttosto ampia ma ad un solo piano, lontano da altre costruzioni più alte e dotata di uscita su due lati. Quel bar era in grado di ospitare tutti al caldo (si era pur sempre in gennaio), permetteva una rapida uscita in caso di fuga e, nella remota possibilità di un crollo, non aveva altre strutture, oltre al proprio tetto, da far cadere.
Fu così, che quella che era iniziata come una delle serate più spaventose della mia vita, prese le vesti di in una specie di notturna, festa rionale.
Per un bambino di cinque anni, le possibilità di fare mattino in mezzo a tutta quella gente, non erano molte, quindi colsi l'occasione con entusiasmo e poi, il fatto di essere un bambino piuttosto socievole, pur essendo uno dei più piccoli tra i presenti, mi mise nella condizione privilegiata di diventare la mascotte della serata.
Gli esseri umani sono strane creature, capaci di comportarsi in modo meschino, eppure, quando sono accomunate dallo stesso nemico, tendono ad aumentare robustamente la forza di coesione, mostrando così il loro lato migliore.
Difatti, seppure il tempo passato ha reso vacue le fattezze di molte delle persone con cui ero quel giorno, tutti quei volti, li ricordo come amichevoli e sorridenti.
Molti dei miei vicini passarono un po' del loro tempo a giocherellare con me, ci fu chi mi raccontò storielle, chi mi diede qualche moneta da fare sparire nella fessura mangiasoldi del flipper, alcuni mi donarono perfino dolcetti, comprati dal bancone del bar.
Insomma io quella sera la passai tra "Amici", fugando completamente la paura di qualche ora prima, e tirai avanti per un bel pezzo, fino a quando non crollai, sfinito, tra le braccia di mia madre.



Epilogo

Quel terremoto imperversò con un lungo sciame sismico che movimentò molte delle nostre notti, costringendoci più volte a riparare in quel bar. Tenemmo duro fino alla scossa più forte, quella del 14 giugno, che spopolò la città. Come quasi tutti gli anconetani, anche la mia famiglia decise di "sfollare" verso lidi più sicuri.
Nella fattispecie, fummo ospitati da dei parenti di una mia zia acquisita, a Filottrano, un paesino vicino. Rimanemmo in quella casa di campagna assieme ai miei zii e alle mie tre cugine, fino alla fine di quell'estate.

Ad ulteriore conferma di come, nel momento del bisogno, gli esseri umani possano diventare insolitamente solidali, va detto che, chi ci ospitò, lo fece con tale riguardo e cortesia da farci sentire come a casa nostra, tanto da improntare con alcuni dei nostri ospiti, rapporti così amichevoli e profondi da sopravvivere ancora, dopo tutti questi anni.


Qualche numero

La prima scossa, quella del 25 gennaio, fu stimata al settimo grado della scala Mercalli, lo sciame che ne seguì fu spaventoso, composto di innumerevoli microsismi e di alcune forti scosse (almeno una decina), molte delle quali occorse di notte, fino ad arrivare al più grande evento, quello della sera del 14 giugno, che mise in fuga gran parte della cittadinanza. Quindici interminabili secondi protratti fino al decimo grado della scala Mercalli.

Ancona divenne una città fantasma, 30 mila persone rimasero temporaneamente senza casa, furono allestite migliaia di tende, millecinquecento persone furono ospitate nei vagoni ferroviari, quasi altre mille in palestre ed alcuni trovarono rifugio su autobus urbani e perfino sulla nave "Tiziano", ancorata al porto.
Si stima che, dal 15 al 30 di giugno, furono serviti duecentomila pasti caldi ed almeno quindicimila pacchi di pasti freddi.
Quando la terra smise di tremare, almeno seimilacinquecento stabili furono dichiarati inagibili, molti Anconetani dovettero abbandonare intere zone del centro storico, che venne solo in seguito, ristrutturato e ricostruito.

Quel sisma colpì pesantemente l'economia locale e lasciò un segno indelebile nella memoria di tutti gli anconetani.
Poter tornare a vedere meraviglie in ogni cosa
Avatar utente
Insight
Settantiano VIP
Settantiano VIP
Messaggi: 7634
Iscritto il: lun 4 nov 2013, 17:20

Re: 25 Gennaio 1972

Messaggio da Insight »

Una bella e intensa testimonianza che rende bene l'angoscia del terremoto. Anch'io l'ho vissuta da bambino 4 anni piu' tardi a Trieste, in occasione dell'"Orcolat", il terribile e devastante terremoto del Friuli, per cui in questo racconto mi sono ritrovato parecchio.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
_____
Anni 80? No, grazie
Avatar utente
kabakron
Settantiano in prova
Settantiano in prova
Messaggi: 40
Iscritto il: gio 4 set 2014, 16:33
Località: Ancona

Re: 25 Gennaio 1972

Messaggio da kabakron »

Purtroppo il “Bel Paese” sembra avere una marcata propensione per le catastrofi (più o meno) naturali‚ quindi non rimane difficile imbattersi in persone che abbiano avuto esperienze simili alla mia, quando non peggiori.
Perfino la mia città, nel suo piccolo, si è data da fare per tener alta la media nazionale, producendosi in due terremoti, uno nel ‘30 l’altro nel ‘72, una frana nel ‘82 e qualche alluvione qua e là, giusto per completare il quadro.
Poter tornare a vedere meraviglie in ogni cosa
Rispondi