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1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Opere ed autori
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Whiteshark
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Whiteshark »

Tra i due colossi ne scelgo un terzo: Venedikt Erofeev, l'ultimo vero maudit della letteratura.
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Insight »

Una scelta coraggiosa ;)
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Whiteshark »

La lettura di grandi libri non è una scelta coraggiosa. Visto il letame che propinano le TV, è una scelta di buonsenso. Non vedo nei palinsesti equivalenze a "La Notte della Repubblica" o "La storia siamo noi" che possano farmi chiudere un libro.
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Insight »

Ovviamente mi riferivo alla scelta di "Mosca sulla Vodka", rispetto a Guerra e pace, Delitto e castigo, ecc, ecc.
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Whiteshark »

E' un libro magnifico. Credo che solo "Il nudo e il morto" abbia impresso nella mia mente immagini più vivide.
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Insight »

Quest'ultimo non lo conosco, ma tornando ai due giganti della letteratura russa (e mondiale) ho notato che in eta' giovanile amavo molto di più Dostoevskij e sottovalutavo Tolstoj, trovandolo un po' bigotto e conservatore, diciamo piu' di "destra" rispetto a D. (per esempio per le sue forti critiche a Napoleone e per il suo accentuato moralismo).
Invece in eta' più matura, rileggendoli entrambi e leggendo anche opere di Tolstoj che non avevo letto, come ad esempio Resurrezione, uno dei suoi ultimi romanzi, mi e' accaduto esattamente il contrario. Ora, sebbene la scelta sia dura, preferisco Tolstoj. Sara' un segno dell'eta' :)
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Re: 1970: premio Nobel a Aleksandr Isaevič Solženicyn

Messaggio da Gimli Il Nano »

Gimli Il Nano ha scritto:In ricordo di Aleksandr Solzenytsin (+ 3 agosto 2008), dissidente sovietico ma anche (forse più) critico della pseudo-modernità e del sistema liberale
«Libertà, dunque, è la “libertà” di sporcare con rifiuti commerciali le cassette della posta, gli occhi, le orecchie, i cervelli degli uomini e le trasmissioni televisive, al punto che è impossibile vederne una dall’inizio alla fine senza interruzioni. “Libertà” di sputare pubblicità e propaganda sugli occhi e sulle orecchie dei pedoni e degli automobilisti. “Libertà” degli editori di riviste e dei produttori di cinema di portare sulla strada sbagliata le nuove generazioni con immagini provocanti ed equivoche. “Libertà” dei giovani fra i quattordici ed i diciotto anni, che stanno crescendo, di abbandonarsi all’ozio e ai piaceri fatui, invece di imboccare la via del vero impegno e della crescita morale. “Libertà” delle persone giovani e sane di dedicarsi a nessun lavoro e di vivere alle spalle della società. “Libertà” degli scioperanti di usurpare diritti e di privare il resto dei cittadini di una vita normale, del lavoro, dei mezzi di trasporto e persino dell’acqua e degli alimenti. “Libertà” di presentare in tribunale testimoni di comodo anche quando l’avvocato sa che il proprio assistito è colpevole. “Libertà” di interpretare in modo così estremistico le regole assicurative da trasformare in usura persino l’azione di un samaritano. “Libertà” di volgari scrittorelli d’occasione, irresponsabilmente portati a trattare in modo superficiale i problemi, formando così l’opinione pubblica in modo frettoloso. “Libertà” del fabbricante di pettegolezzi, che riesce ad impedire al giornalista, per calcolo egoistico, di avere pietà del suo prossimo e della sua patria. “Libertà” di divulgare i segreti militari e di sicurezza del proprio paese al fine di perseguire fini personali. “Libertà” dell’uomo d’affari nelle transazioni commerciali, insensibile al numero di esseri umani che potrebbero essere pregiudicati dalle stesse e al danno che potrebbe arrecare alla patria. “Libertà” del politico di parlare irriflessivamente di ciò che piace ai lettori di oggi, senza curarsi della loro sicurezza e del loro benessere futuri. “Libertà” dei terroristi che sfuggono alla pena, il che significa che la pietà nei loro confronti si trasforma in una sentenza di morte nei riguardi della società. “Libertà” di restare indifferenti dinnanzi ad una libertà lontana, straniera, che sia stata calpestata. “Libertà” di non difendere neppure la propria libertà: “che siano gli altri a rischiare la pelle”.

* Aleksandr Isaevič Solženicyn (scrittore russo – 1918/2008) - (tratto dal “Discorso pronunciato il 1° giugno 1976” presso la Hoover Institution in occasione del conferimento dell’American Friendship Award)
Un tempo non osavamo fiatare, neppure bisbigliare. E adesso scriviamo per il «Samizdat», lo leggiamo, e ritrovandoci nei fumoir degli istituti di ricerca diamo sfogo al nostro malcontento: Quante ne combinano quelli, dove ci stanno portando! L’inutile smargiassata cosmica, con lo sfasciume e la povertà che c’è nel paese; rafforzano folli regimi all’altro capo del mondo; attizzano guerre civili; hanno dissennatamente tirato su (a spese nostre) quel Mao Tse-tung, e ancora una volta manderanno noi a combatterlo, e ci toccherà andarci, cosa vuoi fare? Mettono sotto processo chi vogliono, la gente sana la fanno diventare matta – loro, sempre loro, e noi siamo impotenti.

Stiamo ormai per toccare il fondo, su tutti noi incombe la più completa rovina spirituale, sta per divampare la morte fisica che incenerirà noi e i nostri figli, e, noi continuiamo a farfugliare con un pavido sorriso: – Come potremmo impedirlo? Non ne abbiamo la forza.

Siamo a tal punto disumanizzati, che per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, la nostra anima, tutti gli sforzi di chi ci ha preceduto, ogni possibilità per i posteri, pur di non disturbare la nostra grama esistenza. Non abbiamo più nessun orgoglio, nessuna fermezza, nessun ardore nel cuore. Non ci spaventa neppure la morte atomica universale, non abbiamo paura d’una terza guerra mondiale (ci sarà sempre un angolino dove nascondersi), abbiamo paura soltanto di muovere i passi del coraggio civico. Ci basta non staccarci dal gregge, non fare un passo da soli, non rischiare di trovarci tutt’a un tratto privi del filoncino di pane bianco, dello scaldabagno, del permesso di soggiornare a Mosca.

Ce l’hanno martellato nei circoli di cultura politica e il concetto ci è entrato bene in testa, ci assicura una vita comoda per il resto dei nostri giorni: l’ambiente, le condizioni sociali, non se ne scappa, l’esistenza determina la coscienza, noi cosa c’entriamo? Non possiamo far nulla.

Invece possiamo tutto! Ma mentiamo a noi stessi per tranquillizzarci. Non sono loro i colpevoli: è colpa nostra, soltanto nostra!

Si obietterà: ma in pratica che cosa si potrebbe escogitare? Ci hanno imbavagliati, non ci danno retta, non ci interpellano. Come costringere quelli là ad ascoltarci? Fargli cambiare idea è impossibile. (…)

Ma veramente è un circolo chiuso e non c’è alcuna via d’uscita? E non ci resta se non attendere inerti che qualcosa accada da sé? Quel qualcosa che ci sta addosso non si staccherà mai da sé se continueremo tutti ogni giorno ad accettarlo, ossequiarlo, consolidarlo, se non cominceremo ad affrontarlo almeno dalla cosa a cui più è sensibile.

Dalla menzogna.

Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza ed essa porta scritto sul suo stendardo e grida: «Io sono la violenza! Via, fate largo o vi schiaccio!». Ma la violenza invecchia presto, dopo pochi anni non è più tanto sicura di sé, e per reggersi, per salvare la faccia, si allea immancabilmente con la menzogna. La violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza. Non tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa: da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana partecipazione alla menzogna: non occorre altro per essere sudditi fedeli. Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: il rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili:che non domini per opera mia!

È questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi, la più distruttiva per la menzogna. Poiché se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo tra gli uomini.

Non siamo chiamati a scendere in piazza, non siamo maturi per proclamare a gran voce la verità, per gridare ciò che pensiamo. Non è cosa per noi, ci fa paura. Ma rifiutiamoci almeno di dire ciò che nonpensiamo.
È questa la nostra via, la più facile e accessibile, data la nostra radicata e organica codardia, una via molto più facile che non (fa spavento il nominarla) la disubbidienza civile alla Gandhi.
 La nostra via è: non sostenere in alcun modo consapevolmente la menzogna. Avvertito il limite oltre il quale comincia la menzogna (ciascuno lo discerne a modo suo), ritrarsi da questa cancrenosa frontiera! Non rinforzare i morti ossicini e le squame dell’Ideologia, non rappezzare i putridi cenci: e saremo stupiti nel vedere con quale rapidità la menzogna crollerà impotente e ciò che dev’essere nudo, nudo apparirà al mondo.

Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. E da quel momento tale persona:

non scriverà più né firmerà o pubblicherà in alcun modo una sola frase che a suo parere svisi la verità;

non pronunzierà frasi del genere né in privato né in pubblico, né di propria iniziativa né su ispirazione altrui, né in qualità di propagandista né come insegnante o educatore o in una parte teatrale;

per mezzo della pittura, della scultura, della fotografia, della tecnica, della musica, non raffigurerà, non accompagnerà, non diffonderà la più piccola idea falsa, la minima deformazione della verità di cui si renda conto;

non farà né a voce né per iscritto alcuna citazione «direttiva» per compiacere, per cautelarsi, per ottenere successo nel lavoro, se non è pienamente d’accordo col pensiero citato o se questo non è esattamente calzante col suo discorso;

non si lascerà costringere a partecipare a una manifestazione o a un comizio contro il proprio desiderio o la propria volontà. Non prenderà in mano, non alzerà un cartello se non è completamente d’accordo con lo slogan che vi è scritto;

non alzerà la mano a favore di una mozione che non condivida sinceramente; non voterà né pubblicamente né in segreto per una persona che giudichi indegna o dubbia;

non si lascerà trascinare a una riunione dove sia prevedibile che un problema venga discusso in termini obbligati o deformati;

abbandonerà immediatamente qualunque seduta, riunione, lezione, spettacolo, proiezione cinematografica, non appena oda una menzogna profferita da un oratore, un’assurdità ideologica o frasi di sfacciata propaganda;

non sottoscriverà né comprerà in edicola un giornale o una rivista che dia informazioni deformate o che taccia su fatti essenziali.

Non abbiamo enumerato, s’intende, tutti i casi in cui è possibile e necessario rifiutare la menzogna. Ma chi si metterà sulla strada della purificazione non stenterà a individuarne altri, con una lucidità tutta nuova.

Certo, sulle prime sarà duro. Qualcuno si vedrà temporaneamente privato del lavoro. Per i giovani che vorranno vivere secondo la verità, all’inizio l’esistenza si farà alquanto complicata: persino le lezioni che si apprendono a scuola sono infatti zeppe di menzogne, occorre scegliere. Ma per chi voglia essere onesto non c’è scappatoia, neppure in questo caso: mai, neanche nelle più innocue materie tecniche, si può evitare l’uno o l’altro dei passi che si son descritti, dalla parte della verità o dalla parte della menzogna: dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima.

E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima non ostenti le sue vedute d’avanguardia, non si vanti d’essere un accademico o un «artista del popolo» o un generale: si dica invece, semplicemente: sono una bestia da soma e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena.
 Anche questa via, che pure è la più moderata fra le vie della resistenza, sarà tutt’altro che facile per quegli esseri intorpiditi che noi siamo. Ma quanto più facile che darsi fuoco o fare uno sciopero della fame: il tuo corpo non sarà avvolto dalle fiamme, non ti scoppieranno gli occhi per il calore, e un po’ di pane nero e d’acqua pura si troveranno sempre per la tua famiglia. (…)

Una via non facile? La più facile, però, fra quelle possibili. Una scelta non facile per il corpo, ma l’unica possibile per l’anima. Una via non facile, certo, ma fra noi ci sono già delle persone, anzi decine di persone, che da anni tengono duro su tutti questi punti e vivono secondo verità.
 Non si tratta dunque di avviarsi per primi su questa strada, ma di UNIRSI AD ALTRI! Il cammino ci sembrerà tanto più agevole e breve quanto più saremo uniti e numerosi nell’intraprenderlo. Se saremo migliaia, nessuno potrà tenerci testa. Se saremo decine di migliaia, il nostro paese diventerà irriconoscibile!
 Ma se ci facciamo vincere dalla paura, smettiamo di lamentarci che qualcuno non ci lascerebbe respirare: siamo noi stessi che non ce lo permettiamo. Pieghiamo la schiena ancora di più, aspettiamo dell’altro, e i nostri fratelli biologi faranno maturare i tempi in cui si potranno leggere i nostri pensieri e mutare i nostri geni.

Se ancora una volta saremo codardi, vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è speranza, e che a noi si addice il disprezzo di Puskin: A che servono alle mandrie della libertà i doni?/ Il loro solo retaggio da generazioni/ sono il giogo, la frusta e i sonagli.

(Mosca, 12 febbraio 1974)
G.K. Chesterton : "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate".
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