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Così parlò Bellavista

Così parlò Bellavista

Un classico frizzante e dal travolgente umorismo, Così parlò Bellavista apparve nel 1977, scritto dall’ingegnere, dirigente dell’IBM, Luciano De Crescenzo; scalò le classifiche di vendita nelle librerie e divenne, qualche anno dopo, persino un film.


Grande appassionato e conoscitore dell’antica filosofia greca, De Crescenzo mescola sapientemente in queste pagine dotte citazioni e riferimenti al pensiero di Epicuro con un’altra vera e propria filosofia di vita, più pragmatica, che egli trae direttamente dal suo vissuto personale o da altre storie o leggende metropolitane, e che ben può definirsi, in tutto e per tutto, “napoletana”.

Napoli può essere considerata la vera protagonista di questo romanzo.

Ricorrendo all’espediente letterario del dialogo (usando, quindi, il famosissimo metodo di Platone) tra lo stesso ingegner De Crescenzo (napoletano sradicato, che ormai lavora e vive a Milano da diversi anni) ed altri personaggi (tutti a loro modo tipiche figure che rappresentano diversi aspetti della “napolitanità”), il libro a poco a poco svela sia le bellezze sia le contraddizioni e i difetti della metropoli partenopea e della mentalità dei suoi abitanti.

Vi è innanzitutto ben rappresentato quel noto sentimento di amore e odio allo stesso tempo, che spesso i napoletani, in particolare quelli che hanno lasciato da molti anni la loro città, nutrono nei confronti del luogo d’origine e che molte volte, facendoli entrare in contraddizione con loro stessi, li fa desiderare di ritornarsene via al più presto quando vengono a trascorrere dei periodi di vacanza nei posti dove sono nati e cresciuti, pur avendo atteso con trepidazione, durante tutto l’anno, proprio quel momento delle vacanze…

Vi è poi l’arcinoto contrasto – presentato qui molto abilmente come conflitto fra due poli dialettici – tra il Nord e il Sud…

Tra un Nord apparentemente perfetto, ordinato, laborioso e civile, simboleggiato in queste pagine dalla metropoli di Londra, e un Sud che è l’esatto suo contrario, il cui disordine, immobilismo e inciviltà vengono incarnati in Napoli, non solo la verità sta aristotelicamente nel mezzo, ma anche l’umano benessere, il vivere veramente bene, si trova alla fine del “sentiero di mezzo”, in un luogo che è la sintesi, la necessaria mediazione dei pregi e dei difetti dei due opposti poli dialettici…

Il professor Gennaro Bellavista (alter ego di De Crescenzo), filosofo di “napolitanità” e figura che primeggia negli appassionanti dialoghi del libro, espone agli amici la sua “Teoria dell’Amore e della Libertà”, che costituisce il nucleo centrale del romanzo: egli intende per Amore, approssimativamente, “il desiderio istintivo che ha l’uomo per la compagnia e l’affetto degli altri uomini; il sentimento che spinge l’uomo a cercare la compagnia del prossimo”; mentre la Libertà è, all’opposto, “la tendenza a difendere la propria intimità, la propria sfera privata, rispettando allo stesso tempo quella degli altri”.

Premesso che ciascuno di noi ha dentro se stesso, dosati in maniera diversa, tutti e due gli impulsi (Amore e Libertà), essi sono tuttavia contrastanti e finiscono con l’ostacolarsi a vicenda. La giusta via è quella di una esatta proporzione tra i due elementi: ognuno dovrebbe essere nella giusta misura, contemporaneamente, un uomo sia di Amore sia di Libertà. Quanto più ci si avvicina al giusto equilibrio, tanto più si è uomini virtuosi. Ma nella realtà è solitamente uno dei due impulsi che prevale sull’altro: orbene, una volta che sia ben chiaro il loro significato e tutte le conseguenze che derivano dalla prevalenza dell’uno o dell’altro, non v’è chi non veda che Napoli (e il Sud in genere) è un luogo in cui prevale l’Amore, mentre il Nord (con capitale simbolica in Londra) è un posto in cui prevale la Libertà.

La Napoli che, pur con tutti i suoi difetti, piace a De Crescenzo-Bellavista è dunque la capitale dell’Amore, in cui prevalgono l’affetto verso il prossimo, la solidarietà, il valore profondo dell’amicizia e la ricerca della compagnia; questi aspetti si vedono soprattutto nel “popolino” che, per il Bellavista, è quello che dà vita alla vera Napoli: esclusi quelli che vivono tra via dei Mille e Posillipo, è necessario guardare alla gente dei Quartieri Spagnoli, del Pendino, del Borgo S. Antonio Abbate, del Mercato… Alla Napoli delle feste, dei venditori ambulanti e delle miserie dei vicoli…

La filosofia di Bellavista si snoda allegramente e intelligentemente attraverso i dialoghi frizzanti e coloriti tra i personaggi del libro e viene inoltre illustrata da stupendi intermezzi, detti “fattarielli”, colti direttamente da storie di vita popolare napoletana…

Tra mille battute, proverbi e detti popolari, e con continui rimandi alla storia, alla filosofia classica, ma anche al confucianesimo, all’idealismo, al razionalismo e al marxismo, il libro scorre brillantemente e insegna, soprattutto ai non napoletani, a conoscere e ad amare Napoli: luogo che in queste pagine a un certo punto si trasfigura da città geografica a “Idea”, diventando un modo di essere del quale tutti noi abbiamo bisogno: nel senso che se Napoli è veramente la capitale dell’Amore, allora non possiamo che concludere, non appena apriamo un giornale o ci guardiamo attorno, purtroppo, che in tutto il mondo dovrebbe esserci un po’ più di Napoli.

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