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La donna della domenica

La donna della domenica

Carlo Fruttero e Franco Lucentini, nel 1972, pubblicarono un libro giallo dal titolo “La donna della domenica”, che riscosse grande successo di critica e di pubblico e dal quale, tre anni dopo, il regista Luigi Comencini trasse l’adattamento cinematografico in un altrettanto memorabile film (con Marcello Mastroianni nei panni del commissario protagonista).

L’intricata e appassionante vicenda si svolge a Torino nei giorni di inizio estate; e proprio il capoluogo piemontese, a causa dell’ambientazione estremamente realistica della storia narrata, è uno dei principali protagonisti del libro: in pochi altri casi troviamo un legame così indissolubile tra un giallo e la città in cui esso si svolge. Leggere questo romanzo non è soltanto divertente, ma anche molto utile a capire com’era la vita a Torino all’inizio del decennio, grazie ai puntualissimi riferimenti alle vie, alle strade, alle piazze, ai giardini pubblici, ai negozi, ai mercati, ai bar e alle trattorie; nonché alle abitudini dei cittadini torinesi di quei tempi.

A tal proposito emerge con tutta evidenza, fin dalle prime pagine, un tono decisamente ironico degli Autori, che attraverso le riflessioni del commissario di polizia Santamaria, di origini siciliane, criticano la città sia sotto l’aspetto più eminentemente urbanistico (traffico eccessivo, pochi parcheggi, inquinamento, ecc.), sia sul piano morale dei cittadini e dei politici e amministratori locali (scarso senso civico, maleducazione, mollezza dei costumi, intolleranza, egoismo, corruzione diffusa, cattiva amministrazione, ecc.).

La Torino dei primi anni Settanta è rappresentata come una grande città ordinata e persino noiosa nella sua geometrica precisione: ma sotto quel velo di apparenza, si nascondono in realtà malcostume, efferatezza, intolleranza e corruzione.

Al centro della storia, ovviamente, vi è un misterioso delitto. L’architetto Garrone viene trovato cadavere nel suo studio (in via Mazzini), ucciso da un forte colpo che gli ha fracassato il cranio. L’arma del delitto, sulla quale la polizia inizialmente mantiene un imbarazzato riserbo, viene rinvenuta sul posto e apparteneva alla vittima: si tratta di una scultura in pietra alta 29 centimetri e pesante 2 chili e mezzo, riproducente le sembianze di un membro virile.

Il commissario Santamaria viene incaricato delle indagini; scelto dal suo superiore (De Palma) per le sue conoscenze ed entrature nel cosiddetto “ambiente”, ossia nella “Torino-bene”, giacché i primi sospettati dell’omicidio sono la signora Anna Carla Dosio (moglie di un facoltoso industriale, presidente della DOSIO S.p.A.) e il signor Massimo Campi (un giovane nullafacente che si gode i miliardi di famiglia), amico intimo della signora.

Inizia così, in maniera molto cordiale, una frequentazione assidua del commissario con i due sospettati, durante la quale egli sonda gli indizi (in verità piuttosto deboli) a carico della annoiata coppia di amici miliardari, valuta i loro alibi e, contemporaneamente, instaura una relazione galante con la attraente signora Dosio (che non può sfociare in una relazione amorosa, vista la responsabilità e l’alto senso del dovere del commissario).

Allo stesso tempo non si trascurano altre piste: quella della prostituzione (dal momento che l’architetto Garrone era tutt’altro che un uomo “tutto casa e chiesa”); quella della corruzione (poiché si scopre un filone che conduce alle assegnazioni pilotate di appalti da parte del Comune di Torino); quella dei voyeurs (i cosiddetti “guardoni”, poiché l’architetto Garrone ne faceva parte); e quella che parrebbe condurre ad un regolamento di conti per una questione di affari tra l’architetto e l’autore della scultura usata come arma del delitto.

Mano a mano che si procede nella storia, il quadro si complica sempre più e i sospetti si spostano dalla signora Dosio e dal signor Campi, al geometra Bauchiero (uno dei pochissimi testimoni che afferma di aver visto l’assassino fuggire dallo studio di via Mazzini), al marmista Zavattaro (che ha realizzato l’arma del delitto), al ragionier Oreste Regis (compagno di voyeurismo dell’architetto Garrone)…

Oltre a questi, vi sono diversi altri personaggi che a poco a poco entrano nella vicenda: amici e amiche della Dosio e del Campi, parenti, amici e colleghi del defunto architetto; funzionari e impiegati del Comune. Tutti vengono sentiti dal commissario, poiché se da un lato la cerchia dei sospettati è ben definita nella mente del Santamaria, dall’altro la sua esperienza professionale e l’intuito gli suggeriscono di non escludere a priori nessuno.

Si ha sempre la sensazione di avere la soluzione del caso a portata di mano, eppure si rimane nell’incertezza fino alle battute conclusive. La svolta arriva con un altro omicidio, chiaramente commesso dalla stessa mano in funzione del primo delitto: Lello Riviera, amante segreto di Massimo Campi (poiché il Campi è omosessuale), viene investito e ucciso da una Fiat 124 blu nei pressi del Balùn, lo storico mercato delle pulci di Torino. Il giovane impiegato del Comune, sentimentalmente legato al Campi (la relazione tuttavia era in crisi), aveva condotto delle indagini private, di propria iniziativa, sull’omicidio Garrone e, a quanto pare, era giunto alla soluzione…

Dopo l’uccisione del Riviera, tutti gli indizi sembrano convergere, questa volta in maniera decisa, verso Massimo Campi, facendosi strada l’ipotesi del delitto a sfondo passionale. Nel finale saranno le brillanti intuizioni del commissario Santamaria a risolvere il caso. L’assassino verrà smascherato soltanto nelle ultime pagine, lasciando stupefatto il lettore.

***

Per chi ama il genere giallo, credo che siamo di fronte a un capolavoro. Chi non è un vero appassionato di gialli, leggendo “La donna della domenica”, forse imparerà a stimare di più questo genere (è proprio il mio caso). Ma, giallo a parte, si tratta di un ottimo romanzo, uno dei migliori del decennio a mio avviso, magistralmente scritto a quattro mani dall’indimenticabile coppia della letteratura italiana composta da Fruttero e Lucentini.

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