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Libri

La spiaggia d’oro

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Vincitore del premio Strega nel 1971, “La spiaggia d’oro” è un romanzo di Raffaello Brignetti, considerato il più grande “scrittore di mare italiano”.

Nato all’Isola del Giglio nel 1921, Raffaello Brignetti era figlio di un guardiano di fari e trascorse i primi anni di vita su un isolotto grande poco più di uno scoglio (l’isoletta della Palmaiola, nell’arcipelago toscano), dove vivevano soltanto lui e i suoi genitori. In seguito la famiglia si trasferì all’Isola d’Elba. Qui Raffaello frequentò le scuole elementari, le medie e il liceo, andandoci ogni mattina in barca: da bambino lo accompagnavano i pescatori; poi, divenuto più grande ed autonomo, cominciò ad andarci da solo, con una barchetta a remi.

Il mare è dunque un elemento che gli è entrato nell’animo fin dall’infanzia e che ha segnato tutta la sua sensibilità di scrittore e la sua produzione letteraria.

La spiaggia d’oro non è un romanzo facile. La vittoria del prestigioso premio letterario fu anzi accompagnata da qualche polemica, proprio per la cripticità della storia narrata da Brignetti. Si tratta, indubbiamente, di un libro che deve essere interpretato, essendo “metaforico” e pieno di simboli. E’ un romanzo scritto in un linguaggio elegante e ricercato, ricco di terminologia marinaresca, ma anche di riferimenti alla mitologia greca e in particolare all’Odissea. L’Autore fa ampio uso di dialoghi nei quali, tuttavia, non sempre è agevole individuare un significato: al punto che egli è stato accusato da alcuni critici di aver scritto un libro senza senso, per puro gusto estetico, creando nulla più che un divertissement letterario.

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Protagonisti del romanzo, la cui trama è in realtà molto esile, sono un uomo adulto e una bambina di sei anni, che affrontano un viaggio per mare di una decina di giorni su una goletta presa a noleggio, alla ricerca di una fantomatica isola, stupenda e incantevole, sulla quale dovrebbe trovarsi una spiaggia fatta di granelli di un giallo splendente, che sembrano d’oro.

L’uomo è un amico del padre della bambina ed ha promesso alla piccola di portarla a vedere l’isola dove lui è nato ed ha trascorso l’infanzia.

La bambina è curiosa, intelligente, smaniosa di arrivare all’isola e di vedere la spiaggia d’oro, ma anche desiderosa di imparare tutto della navigazione e contenta quando l’uomo, anche se solo per qualche breve tratto, le lascia tenere il timone. L’uomo, invece, è un esperto, un vero e proprio “lupo di mare”. Nutre molto affetto per la bambina e sembra anche lui desideroso di rivedere l’isola dopo tanti anni.

Le prime pagine, che a mio parere sono le più belle, sono tutte incentrate sul contrasto fra l’esperienza dell’uomo e l’ingenuità e la freschezza della bambina. Sono pagine quasi didattiche, in cui l’uomo sembra un maestro che spiega i segreti del mare e della navigazione a vela alla giovanissima allieva.

C’è però nell’aria una tensione sottile, una specie di supense rappresentata dalla meta finale da raggiungere, ossia dall’isola, che non abbandona mai i pensieri dei due protagonisti e che emerge sempre nei loro dialoghi.

L’isola è naturalmente un simbolo, così come lo sono il mare e la goletta sulla quale veleggiano l’uomo e la bambina. Il mare rappresenta il tempo che scorre incessantemente e che non è mai uguale a se stesso, anche quando sembra che lo sia. La goletta è il simbolo della vita stessa che attraversa il tempo. L’isola, con la sua spiaggia d’oro, è la felicità. Che però assume significati diversi per i due protagonisti: per l’uomo, l’isola è un ritorno a un tempo felice della propria esistenza. Infatti, la narrazione è spesso frammezzata da flashbacks che si svolgono sull’isola ai tempi in cui il lupo di mare era bambino.

Per la sua giovanissima compagna di viaggio, invece, l’isola rappresenta la scoperta della felicità quale condizione del proprio presente. La bambina, infatti, sta vivendo il periodo più felice della sua vita, ma ancora non lo sa. Arrivando all’isola e vedendo la spiaggia d’oro ne acquisirà la consapevolezza: se mai ci arriverà.

Ma le cose non vanno come dovrebbero andare. A un certo punto, i due naviganti (e il lettore insieme a loro) scoprono di non essere da soli sulla goletta. Compare per prima una donna, tranquillamente seduta sulla prua dell’imbarcazione; mentre qualche pagina dopo, dalle cuccette della goletta, emerge una singolare figura di vecchio, dalla pelle raggrinzita e i capelli radi e grigi, ma pieno di energia nel corpo e dalla lingua molto tagliente.

Difficile stabilire che cosa rappresentino esattamente i due imprevisti passeggeri. Anch’essi diretti all’isola, ne hanno una concezione assai differente rispetto a quella dell’uomo e della bambina: del tutto materiale e disincantata. Essi, peraltro, sono pagati da un’agenzia per allestire la goletta da noleggiare ai turisti, rendendo le cabine confortevoli, dotandole di televisione e frigorifero. La bambina e l’uomo che ha preso a nolo la goletta, però, hanno sempre accuratamente evitato di visitare l’interno dell’imbarcazione, preferendo rimanere sopra coperta e utilizzando per la notte la sola cabina che si trova a poppa.

Mentre per l’uomo e la bambina, il viaggio verso l’isola è ideale e riguarda la felicità, per la donna e il vecchio non si tratta che di un viaggio di lavoro.

Nei dialoghi tra la donna, il vecchio e la bambina, che scandiscono il tempo del viaggio, emerge abbastanza nettamente il contrasto fra l’isola-sogno e l’isola-concretezza: fra l’illusione e la disillusione, fra la spiritualità e idealità da un lato e la materialità dall’altro. A poco a poco, i due bizzarri e piuttosto maligni passeggeri insidiano la purezza della bambina, cercando di corrompere l’idea che essa si è formata dell’isola, ad esempio rivelandole che anche là, su quel magnifico lembo di terra circondato dal mare azzurro e cristallino, le persone soffrono e muoiono. Mentre l’uomo che conduce la goletta, mano a mano che il viaggio procede, perde la sua fiducia iniziale, non è più tanto sicuro che l’isola esista e fa difficoltà a trovarne il punto esatto sulla carta nautica.

Il finale è amaro: durante la notte del decimo giorno di navigazione, la donna e il vecchio, giunta ormai la goletta nel punto dove si trova o dovrebbe trovarsi la tanto agognata destinazione, mettono in acqua una lancia a motore e puntano dritti verso l’isola. All’alba, la bambina si sveglia e scopre con sorpresa che i due hanno lasciato la goletta. L’uomo si rifiuta di usare il motore per raggiungere la meta (perché sarebbe un sistema troppo facile) e ormai convinto che l’isola, almeno così come la immagina lui, esista solo nella sua fantasia, decide di tornare indietro, girando le vele e spiegando alla bambina, piuttosto delusa (ma meno di quanto il lettore si aspetti), che l’isola in realtà non esiste.

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Un romanzo eccezionale per il suo stile di scrittura. Se amate l’estate, il mare, ma soprattutto il piacere della lettura in sé e per sé, vi consiglio di leggere questo libro e di lasciarvi “sprofondare” dolcemente nelle sue pagine. Anche se forse rimarrete un po’ perplessi interrogandovi sui significati della storia, ne varrà certamente la pena perché riscoprirete la bellezza e il fascino della nostra lingua scritta.

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