Talvolta basta poco per trovare il nome giusto a un varietà televisivo.
Talvolta sono sufficienti otto minuti per dare a quel programma un posto nella storia.
Legare tuttavia il nome di “Teatro 10” soltanto all’ormai leggendario duetto che vide protagonisti Mina e Battisti nel 1972 sarebbe estremamente riduttivo. Anche perché, prima di allora, lo show diretto da Antonello Falqui, aveva già vissuto altre due stagioni.
La prima risale addirittura al 1964, con Lelio Luttazzi nelle vesti di presentatore. Fu proprio il musicista e showman triestino a spiegare al pubblico le ragioni del nome del programma: se “Studio Uno” aveva preso il nome dall’omonimo studio Rai, essendo il nuovo varietà trasmesso dal Teatro delle Vittorie, il numero 10, appunto, dell’azienda di Stato, si decise di chiamarlo “Teatro 10”.
Dunque, benché fuori “decennio” è opportuno ricordare l’esordio di “Teatro 10”, quattro puntate con cui Falqui voleva riprodurre l’”Ed Sulllivan Show”, in onda sulla rete americana CBS per quasi trent’anni.
Un presentatore, tanti ospiti e numeri di diverso genere, dal canoro al comico, senza tralasciare il balletto. Niente guida corale, dunque, come nei precedenti “Studio Uno” e scenografia ridotta all’essenziale con l’orchestra sullo sfondo velata da un sipario leggerissimo e strutture in tubolare in bella vista.
Assai spesso comparivano nell’inquadratura telecamere (con le quali addirittura Lauretta Masiero scherzò, cantando e ballando, durante la prima puntata) e monitor.
Lelio Luttazzi, padrone di casa elegante, sottilmente ironico, perfetta “spalla” all’occorrenza (come col Quartetto Cetra) e accompagnatore d’eccezione di medley d’annata, come quelli di Sergio Endrigo ed Emilio Pericoli, introduceva tutti gli ospiti all’inizio di ogni puntata, nello stile del “Perry Como Show”.
Straordinarie le coreografie di Don Lurio, soprattutto quella della seconda puntata, con i ballerini impegnati a disegnare una melodia ritmata solo con tamburelli, e quella dell’ultima, dove il geniale Don danzò su dei tamburi in completa armonia con quello dell’orchestra.
A parte i siparietti che videro susseguirsi la citata Masiero, Luciano Salce, Paolo Panelli e una “perfida” Sandra Mondaini, non mancarono ospiti in grado di prendersi amabilmente in giro, come Alberto Lupo, che scherzò sulla sua leggendaria voce, o Mike Bongiorno, impegnato a fare ironia sulle sue gaffes in un duetto canoro con lo stesso Luttazzi.
Moltissimi i cantanti di grido: da Ornella Vanoni a Milva, da Bobby Solo, appena esploso con “Una lacrima sul viso”, a Fred Bongusto, da Michele a Pino Donaggio per finire con Celentano, accompagnato dal nipote Gino Santercole. Esordì una giovanissima Mimì Bertè, non ancora Mia Martini, e intervennero voci internazionali, da Nana Mouskouri all’indiana Amru Sani, dal timbro simile a quello di Shirley Bassey.
Tutto ciò, però, venne quasi offuscato da una superba e applauditissima Mina. Al termine della prima puntata diede vita a un delizioso duetto con l’entertainer triestino che poco prima, scherzando, l’aveva “implorata” di cantare alcuni dei suoi brani.
Assai interessanti un paio di “divertissement” musicali: Rita Pavone e Luttazzi giocarono a mostrare come le melodie moderne derivassero da quelle più remote e Modugno venne “costretto” a riproporre alcuni suoi successi con altri ritmi. Sperimentazioni sulle note guidate o addirittura ideate da Gianni Ferrio che, come vedremo, nella terza edizione del varietà ne proporrà una destinata a fare scalpore.
SECONDA EDIZIONE: 1971
Se l’Italia del primo “Teatro 10” era figlia della fine del boom e della famigerata “congiuntura”, quella che si accinge a vedere il ritorno dello spettacolo, è ormai entrata, dopo Piazza Fontana, nel tunnel degli anni di piombo e della strategia della tensione.
Siamo agli inizi dei Settanta e Falqui ci riprova, stavolta con la conduzione affidata ad Alberto Lupo, desideroso di scrollarsi definitivamente di dosso l’immagine del dottor Manson de “La Cittadella”.
Immutato lo staff, eccezion fatta per gli autori e il costumista, la scenografia acquista profondità col collocamento dell’orchestra sotto la gradinata e il regista romano decide di variare la struttura del programma dando maggior spazio a grandi ospiti stranieri e inserendo un gioco, di volta in volta ispirato ad alcuni quiz “storici”, con concorrenti celebri e premi devoluti in beneficenza.
Le quinte, mobili e semiprismatiche, “nascondono” comici o personaggi dello spettacolo, tra i quali si segnalano un Pino Caruso surreale quanto caustico, il solito, pepato Luciano Salce, Paolo Villaggio che ripropone l’imbranatissimo professor Kranz, Bramieri che spara barzellette a mitraglia e un delizioso Vittorio De Sica, che declama poesie d’amore napoletane.
Il corpo di ballo non vede più protagonista assoluto Don Lurio, impegnato solo come coreografo, e si limita a stacchetti introduttivi oppure a qualche numero, peraltro interessante, come quello con Benny Chase.
Piuttosto frequente l’uso di riprese dall’alto, altra novità rispetto alla precedente, ormai lontana, edizione.
Ogni puntata inizia col saluto di Lupo a una particolare categoria di donne (nell’ultima dedicherà una sua canzone a tutte), prima di lanciare il grande nome internazionale. E si tratta davvero di stelle di primissima grandezza, tra le quali è impossibile dimenticare Ike e Tina Turner, travolgenti con “Proud Mary”, una splendida Elis Regina in un medley ove brilla una raffinatissima versione di “Upa Neguinho”, Shirley Bassey e la sua incomparabile voce, Josè Feliciano impeccabile da “Light my fire” a “Che sarà”, Jorge Ben, ma soprattutto un favoloso James Brown, capace di strappare una standing ovation (e allora era davvero una rarità) con “Sex Machine”, “It’s a man’s man’s world” e altri suoi successi.
Gli altri ospiti stranieri non saranno da meno, se si pensa a Ray Conniff, Eartha Kitt, la citata Chase (superba in un suggestivo balletto dedicato al sogno), Eliana Pittman, Lola Falana, per ricordarne alcuni. Insomma, un parterre di numeri uno da paura.
E gli italiani? Non mancano, anzi. A parte un bellissimo pas de deux di Carla Fracci con Niels Kehlet, ci sono le migliori ugole di casa nostra. Qualche nome: Domenico Modugno, Adriano Celentano, Patty Pravo, Ornella Vanoni, Rita Pavone e un certo Lucio Battisti, incantatore con sola chitarra in “Eppur mi son scordato di te” e provvisto di alter ego televisivo grazie a una preziosa invenzione di Falqui durante la struggente “Pensieri e parole”. Raffaella Carrà si esibisce in un brano per piccini con coretto di bimbi e si dimena poi in maniera assai poco… infantile proponendo “Chissà chi sei”.
Alcuni cantanti -oltre a fare il loro mestiere- parteciperanno pure ai quiz, come lo strano quintetto Lucio Dalla-Mino Reitano-Orietta Berti-Rosanna Fratello-Little Tony, battuto dal team dei personaggi tv (guidato da Paolo Cavallina ed Edmondo Bernacca) in un’inedita versione di “Chissà chi lo sa?”, condotta ovviamente da Febo Conti.
Dire quiz è dire Mike Bongiorno: nel suo “Caccia al premio” fa sfidare Nino Benvenuti, che tra un…Monzon e l’altro si diletta anche come ballerino, e Claudia Cardinale, che canta il title-track del suo ultimo film, “Popsy Pop”, con risultati non indimenticabili. Altre due dive del cinema per il quiz condotto da Lello Bersani, in cui l’una contro l’altra armate saranno Gina Lollobrigida e Virna Lisi. A tutto calcio, invece, il quiz con Helenio Herrera e Sandro Mazzola, interrogati da Maurizio Barendson.
Il gioco più divertente, comunque, è quello in cui Pippo Baudo indossa le vesti che furono di Mario Riva, in un “Musichiere” dove Massimo Ranieri e Claudio Villa, quest’ultimo spassoso con la sua ruspante verve romana, danno vita a un duello all’ultima risposta col “reuccio” vittorioso e per questo invitato a cantare per primo.
Se con gli stornelli del “sor Mariano” coinvolgerà il pubblico, la risposta di Ranieri non sarà da meno: inizia con “L’amore è un attimo” per poi partire in un intensissimo medley dei suoi successi.
Il bilancio finale del varietà, ancor più vicino nella sua struttura all'”Ed Sullivan” di quanto non fosse stato nella prima edizione, è assai incoraggiante, considerando che sarà il più visto dell’anno, con una media di venti milioni di spettatori a puntata.
Ma Falqui vuole qualcosa di più. L’otterrà l’anno successivo. Quel qualcosa, infatti, ha un nome: Mina.
TERZA EDIZIONE: 1972
Eccoci, così, al grande ritorno della Tigre di Cremona come vedette assoluta di uno show televisivo.
Da tempo si pensava a una sua sontuosa rentrée dopo il successo della Canzonissima ’68. Ma la signora Mazzini era impegnata. Troppo. Tra le due tournée teatrali con l’amico Gaber, il matrimonio con Virgilio Crocco e la nascita di Benedetta, aveva trovato il tempo per iniziare la collaborazione con Mogol e Battisti dominando le hit: “Insieme”, “Io e te da soli” e “Amor mio”, erano e saranno pietre miliari della sua produzione. Senza dimenticare il pezzo di Renis “Grande grande grande”. Insomma, una regina senza rivali. Falqui scalpitava per riaverla in un suo programma.
Finalmente, agli inizi del 1972 Mina dice sì. Alle sue condizioni: poche chiacchiere, solo canzoni. Parlerà lo stretto indispensabile, infatti, e canterà molto. Lo farà benissimo, come sempre, entusiasmando il pubblico, dominando la scena a scapito di Alberto Lupo, confermato alla conduzione, col quale non avrà “feeling”.
Oltre all’attore genovese, il team dell’anno precedente rimane confermato a parte i costumi affidati a Enrico Rufini e le coreografie che Don Lurio lascia al duo Pergola-Greco, per un balletto che continua a essere impegnato per lo più nelle presentazioni. Anche la scenografia muta di un nulla, i pannelli di quinta si allargano e appiattiscono, lo spazio appare ancor più ampio.
Il monologo introduttivo, affidato al solito vellutato e sornione Lupo, è stavolta dedicato ai rapporti uomo-donna. Restano i siparietti comici o dedicati allo spettacolo, che vedono protagonisti Vittorio Caprioli, la coppia Villaggio-Gassman, Monica Vitti, Franca Valeri, Enrico Montesano, Paolo Panelli, l’inedito trio Baudo-Bongiorno-Corrado e Pino Caruso, forse il numero più interessante, quasi un “Gastone” petroliniano in salsa sicula.
La novità, oltre alla presenza fissa di Mina, è la scelta di Falqui di dar risalto allo spettacolo “serio”: niente più quiz, dunque, ma balletto e musica classica. Un tocco di eleganza che porterà nella case degli italiani splendidi “passi a due”, tra cui quelli, memorabili, della coppia Fracci-Vassiliev in “Giselle” e del duo Cosi-Nureyev ne “La bella addormentata nel bosco”, la magia dell’organo di Fernando Germani, commovente nella “Cantata per Venezia” di suo figlio Fabio e strabiliante nel difficilissimo “Pageant” di Leo Sowerby, l’arte di Salvatore Accardo col suo Stradivari e un esperimento che farà discutere, due romanze dalla “Bohème” riarrangiate in chiave moderna e interpretate da Mina e Johnny Dorelli.
L’idea del M° Ferrio scatenerà un putiferio, nonostante egli stesso si fosse premurato di avvertire che, a suo avviso, Puccini aveva ispirato autori del calibro di Gershwin. A ogni modo, ben trentasette anni dopo, il tenace direttore d’orchestra vicentino l’avrà vinta: “Sulla tua bocca lo dirò”, penultimo album di Mina, altro non è infatti che la realizzazione di quel sogno che nel ’72 lo aveva costretto a ingoiare molti bocconi amari, nonostante lo straordinario successo della sigla finale del varietà, quel “Parole parole parole” costatogli ore di lavoro su un testo per niente “musicale”, e poi inciso a furor di popolo tanto era richiesto.
Vero punto di forza dello show, comunque, resta la voce della signora Mazzini. Sia nei brani di apertura che, soprattutto, nei medley finali incanta il pubblico con veri capolavori. Impossibile enumerarli tutti, ma impossibile anche dimenticare le emozioni regalate da “E sono ancora qui”, “Una donna una storia”, “La mente torna”, “Bugiardo e incosciente”, “E se domani”, “Vorrei che fosse amore”, “Non credere”, “Io e te da soli”, “Amor mio”, “Grande grande grande”, “Vedrai vedrai” di Tenco, “Insieme”, “Adagio”, “Il poeta” di Lauzi o “Io tra di voi” di Aznavour, per finire con il De André de “La canzone di Marinella”, il Paoli de “Il cielo in una stanza” e l’intensa “La voce del silenzio”. Mina si lancia anche in classici americani e latinoamericani, come “I should care”, “Lazy river”, “Fly me to the moon”, un grintosissimo “Spinning Wheel”, “The man that got away”, “That old feeling”, “On the sunny side of the street”, “Canto de Osanha”, “Allegria” (“Upa neguinho”), e regala brividi in “Balada para mi muerte”, accompagnata dal mitico Astor Piazzolla.
Il musicista argentino è una delle tante star internazionali, peraltro non tutte entusiasmanti. Piuttosto deludenti sono infatti i “Bee Gees”, in palese playback, freddina Mireille Mathieu, meglio i “Middle of the Road”, più coinvolgenti, e lo scatenato Johnny Hallyday. Sexy e spigliate sono le Kessler, che abbozzano uno spogliarello, il primo ufficiale sulla nostra tv, tra tuniche elastiche in cui si…nascondono e giochi di luce in stile “ombre cinesi”.
Le vere chicche arrivano alle ultime puntate. Oltre al citato Piazzolla, Erroll Garner e il suo pianoforte e Amalia Rodrigues con la sua voce inconfondibile sono da standing ovation. Bene funzionerà la compagine italiana, anche grazie ai duetti con la padrona di casa. A parte la bella esibizione dei “Delirium” e della PFM, la calda e verace Gabriella Ferri e una tosta Caterina Caselli, sia Gianni Morandi che Fred Bongusto, ma soprattutto Milva che dà vita con la collega a coinvolgenti gospel, Giorgio Gaber e il suo “Signor G” tuttora da sbellicarsi, Celentano che fa un’esilarante parodia di “Parole parole parole” con tanto di caramelle lanciate in aria, lasciano il segno.
La leggenda, tuttavia, rimane targata Mina-Battisti. Otto minuti e venti entrati nella storia, una meravigliosa armonia tra i due cantanti e la band che li accompagna, un frammento televisivo destinato a imprimersi nella memoria in modo indelebile. “Insieme”, “Mi ritorni in mente”, “Il tempo di morire”, “E penso a te”, “Io e te da soli”, “Eppur mi son scordato di te” e, dulcis in fundo, “Emozioni” diventano un’infinita magia che spinge il pubblico a una vera ovazione.
Un momento che farà dimenticare a Falqui le molte difficoltà in cui è stato costretto a portare avanti il programma, prima fra tutte lo spostamento, a partire dalla terza puntata, di “Teatro 10” dalla consueta collocazione del sabato sera al giorno successivo, causa l’irrompere sulla scena del “Pinocchio” di Comencini, dato che i bimbi non potevano andare tardi a letto la sera prima della ripresa della scuola dopo il weekend. Non bastasse, le critiche di una certa “intellighenzia” tentarono in ogni modo di smontare la validità dello show, che, tuttavia, raccoglierà un notevole consenso di pubblico: più di 21 milioni di spettatori in media.
Un’ulteriore conferma che la qualità, costruita, voluta, curata nei minimi dettagli, pagava. Almeno nei magici anni Settanta.
TEATRO 10 – 1964
Quattro puntate, dal 26 settembre al 17 ottobre 1964
Programma Nazionale
Regia: Antonello Falqui
Conduce: Lelio Luttazzi
Autori: Antonio Amurri – Francesco Luzi
Orchestra: Gianni Ferrio
Coreografia: Don Lurio
Scenografia: Cesarini da Senigallia
Costumi: Corrado Colabucci
TEATRO 10 – 1971
Sette puntate, dall’13 marzo al 1 maggio 1971
Programma Nazionale
Regia: Antonello Falqui
Conduce: Alberto Lupo
Autori: Leo Chiosso – Giancarlo Del Re
Orchestra: Gianni Ferrio
Coreografia: Don Lurio
Scenografia: Cesarini da Senigallia
Costumi: Folco
TEATRO 10 – 1972
Otto puntate, dall’11 marzo al 14 maggio 1972
Programma Nazionale
Regia: Antonello Falqui
Conduce: Alberto Lupo con Mina
Autori: Leo Chiosso – Giancarlo Del Re
Orchestra: Gianni Ferrio
Coreografia: Renato Greco – Umberto Pergola
Scenografia: Cesarini da Senigallia
Costumi: Enrico Rufini
FONTI:
Teche Rai
Antonello Falqui, il re del varietà – Ornella Magrini, ed. Zona, 2009
Insieme Mina Battisti, 1972: il duetto a Teatro 10 e la fine del sogno italiano – Enrico Casarini, Coniglio Editore, 2009