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Cronaca

La morte di Nereo Rocco

La morte di Nereo Rocco

La mattina del 20 febbraio 1979, nella sua Trieste, a soli sessantasei anni, si spegneva Nereo Rocco, ex calciatore ma soprattutto grande allenatore di calcio

Come giocatore militò, negli anni Trenta e Quaranta, soprattutto nelle file della Triestina e del Napoli, nel ruolo di centrocampista e attaccante. Segnò parecchi gol e fece un’unica presenza in Nazionale, nel 1934.

Da allenatore, a partire dal dopoguerra, sedette sulla panchina di diverse squadre, ma il suo nome è legato in maniera speciale al Milan, con il quale, negli anni Sessanta, conquistò 2 Scudetti, 3 Coppe Italia, 2 Coppe delle Coppe, 2 Coppe dei Campioni e 1 Coppa Intercontinentale.

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Eviterò accuratamente ogni commento di natura tecnica, data la mia ignoranza in materia di calcio, e confidando nell’intervento di qualche forumista più informato, competente e appassionato. Mi soffermerò, piuttosto, brevemente, sul profilo umano di Nereo Rocco, sul quale, trattandosi di un mio illustre concittadino, mi sento invece di poter dire qualcosa, sebbene non lo abbia conosciuto di persona.

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Ricordo molto bene il giorno in cui si diffuse la notizia della sua scomparsa. Tutti ne parlavano e se anche era la prima volta che io lo sentivo nominare, avendo solo nove anni e non essendo un appassionato di storia del calcio, capii subito che si trattava di un grande personaggio e che tutta la città, non soltanto quella sportiva, era profondamente scossa. Qui a Trieste, Nereo Rocco, dopo la sua scomparsa entrò subito nel mito. Non passò tanto tempo che organizzarono in suo onore una partita amichevole, qui a “casa sua”, fra la Triestina e il Milan, che peraltro quell’anno era primo in classifica e poi vinse il campionato. Diversi miei compagni di classe andarono a vedere quella partita accompagnati dai loro papà.

E poi, negli anni successivi, gli intitolarono il nuovo stadio e ancora oggi se ne parla molto (libri, mostre a lui dedicate, servizi sul giornale locale, testimonianze di persone che lo hanno conosciuto, ecc.).

Si parla, qui a Trieste e non solo, oltre che del Rocco grande allenatore, anche della sua forte e “particolare” personalità. “Particolare” – mi sento di aggiungere – specialmente per chi non è di Trieste o non conosce a fondo questa città. In realtà, i tipi umani “alla Nereo Rocco”, soprattutto nelle generazioni passate, erano molto diffusi da queste parti e, sebbene in maniera sempre più annacquata, continuano ad esistere ancora oggi. Gente – specialmente quella delle vecchie generazioni – poco istruita, che faceva difficoltà ad esprimersi in italiano perché era abituata a parlare esclusivamente in dialetto, ma dotata di un grande senso pratico, di una notevole scaltrezza, concretezza, sobrietà, sincerità e schiettezza nei rapporti umani. “Pane al pane e vino al vino”, insomma; e “se devi dirmi qualcosa dimmela in faccia”. Una schiettezza che può talvolta essere scambiata per arroganza e maleducazione (in effetti, talvolta, purtroppo, lo è o lo può diventare) ma che il più delle volte è un modo benevolo e molto semplice e diretto di relazionarsi. E poi, l’ironia (nei confronti dell’universo mondo ma anche di se stessi), un atteggiamento giocoso per cui sembra quasi che queste persone, tipicamente triestine, non prendano niente sul serio (viva là e po’ bon è uno dei nostri antichi motti). Ma anche generosità, calore umano e una certa prontezza a darsi completamente all’altro che – ahimé – anche questa, purtroppo, si sta sempre più perdendo. Generosità che, tuttavia, è spesso dissimulata da un’apparente scontrosità. Insomma, Nereo Rocco, che riuniva in sé tutte queste caratteristiche, era proprio un triestino, dalla testa ai piedi. Anche se poi, naturalmente, ci metteva molto del suo, perché i triestini, pur assomigliandosi tra loro in una certa misura, non sono tutti uguali.

Ad ogni modo, tutti i giocatori che egli ha allenato – e che lui trattava prima come uomini che come calciatori – ne hanno conservato uno stupendo ricordo. Gli volevano bene quasi come se ne vuole a un padre, anzi proprio come a un “paròn”, che era appunto il suo soprannome. Cioè, nel suo caso, un padrone un po’ rude, burbero, ma che sotto la scorza ha un cuore d’oro.

E questo suo essere benvoluto, oltre che stimato, non può che farmi piacere. Da triestino ;)

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