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Cronaca

Saddam Hussein al potere in Iraq

Saddam Hussein al potere in Iraq

Il 16 luglio 1979, Saddam Hussein, vicepresidente dell’Iraq dal 1968, sostituì il Presidente della Repubblica Ahmed Hasan al-Bakr, che annunciò il suo ritiro dalla scena politica, e arrivò così al potere.


Saddam Hussein nacque (probabilmente) nel 1937 (il suo anno di nascita non è certo) nei pressi del villaggio di Tikrit. Dopo un’infanzia molto travagliata, seguì le orme dello zio e si iscrisse al partito Ba’th, una formazione politica di tendenze socialiste.

Da militante del partito Ba’th, partecipò alla fine degli anni Cinquanta a un tentativo di colpo di Stato contro Re Faysal II, e successivamente a un attentato contro il Presidente della Repubblica Abd al-Karim Quasim, in seguito al quale dovette fuggire in Egitto.

Nell’Egitto nazionalista e pan-arabo di Nasser, Saddam conseguì la laurea in Legge. Nei primi anni Sessanta tornò in Iraq, dove prese parte a nuove cospirazioni contro i regimi militari che si avvicendarono al potere in quegli anni e per questo fu rinchiuso in carcere, dal quale riuscì a fuggire nel 1967.

Finalmente, nel 1968, il partito Ba’th conquistò il potere e Saddam Hussein, che ormai si era messo molto in luce nel partito, divenne vicepresidente.

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Come vice del Presidente Ahmed Hasan al-Bakr, Saddam, nei primi anni Settanta, si occupò del settore petrolifero, nazionalizzando le compagnie occidentali che avevano il monopolio del petrolio iracheno.

Con i proventi ricavati dalla nazionalizzazione, Saddam si dedicò poi alla modernizzazione del Paese, creando nuove industrie, dando un forte impulso all’agricoltura e soprattutto realizzando un efficiente Stato sociale, senza paragoni in tutto il medio oriente, al punto che ricevette persino un premio dall’Unesco: la sanità e la scuola divennero pubbliche e gratuite per tutti, venne introdotta l’istruzione obbligatoria e fu condotta un’efficace lotta contro l’analfabetismo. In tutte le case arrivarono la luce elettrica, la radio, il frigorifero e la televisione.

Divenuto Presidente, Saddam proseguì il programma di riforme del partito Ba’th, concedendo alle donne gli stessi diritti degli uomini e introducendo un codice civile analogo a quelli occidentali, che andò a sostituire le leggi coraniche.

L’idea di Saddam era quella di trasformare l’Iraq in una nazione moderna e laica. In buona parte ci riuscì, ma dovette poi fare i conti con le fortissime tensioni che attraversavano il Paese, ossia con le spaccature e le lotte tra gruppi etnici e religiosi differenti.

Per stabilizzare il Paese, Saddam non esitò a fare ricorso alla forza e attuò una feroce politica di repressione, mandano a morte centinaia di migliaia di persone (ricorrendo anche alla tortura e alle esecuzioni di massa). Introdusse una vera e propria dittatura, sopprimendo la libertà d’opinione e di manifestazione del pensiero, e introducendo il culto della personalità.

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Negli anni Ottanta intraprese una lunga, logorante e disastrosa guerra contro il vicino Iran, che si concluse con un nulla di fatto e con numerose vittime.

Nell’estate del 1990, com’è noto, ordinò alle truppe irachene di invadere il Kuwait, con il pretesto di alcune irregolarità petrolifere commesse dai kuwaitiani (in realtà perché il Kuwait era il principale creditore dell’Iraq, avendo finanziato la lunga guerra contro l’Iran).

L’invasione del Kuwait, dopo una lunga ed estenuante serie di trattative, scatenò la Prima guerra del Golfo contro la coalizione internazionale, che liberò in poco tempo il piccolo Stato invaso, dopo aver bombardato massicciamente l’Iraq per un mese intero, tra gennaio e febbraio del 1991. La coalizione, che agiva su mandato dell’Onu, lasciò in vita il regime di Saddam, tuttavia l’Iraq fu condannato dall’Onu stessa a pesantissime sanzioni, che di fatto determinarono la rovina economica e l’isolamento internazionale del Paese.

Nella primavera del 2003, il Presidente americano George W. Bush intraprese, senza alcun mandato internazionale, la Seconda guerra del Golfo, col pretesto delle armi chimiche e nucleari asseritamente prodotte e possedute dall’Iraq, e delle sue collusioni con l’organizzazione terroristica Al-Qaida (com’è noto le armi “di distruzione di massa” non furono mai trovate, né fu scoperta alcuna prova di collusioni tra il regime di Saddam Hussein e Al-Quaida).

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Il regime di Saddam, attaccato in forze dagli Stati Uniti, capitolò in pochi giorni. Saddam si diede alla macchia e fu catturato dai soldati americani in un villaggio nelle vicinanze di Tikrit (la sua città natale) alla fine del 2003. L’ormai vecchio e stanco “Rais” venne letteralmente estratto da una specie di “tana”, una buca molto stretta scavata nel terreno, dove si nascondeva. I soldati lo trovarono in condizioni pietose: sporco, affamato, ammalato, con la barba lunga e psicologicamente distrutto.

Consegnato a un Tribunale speciale iracheno, Saddam Hussein venne processato, condannato a morte e giustiziato per impiccagione (nonostante lui avesse chiesto di essere fucilato), a causa dei crimini commessi, il 30 dicembre 2006.

La sua condanna fece molto discutere. Mentre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna espressero soddisfazione, l’Europa e le varie associazioni e organismi internazionali per i diritti umani la criticarono come un’inutile barbarie, così come contestarono lo svolgimento del processo, in cui non fu per niente garantito e attuato il diritto di difesa.

Tutto il mondo, poi, Stati Uniti e Gran Bretagna compresi, condannò aspramente le modalità dell’esecuzione e lo scherno e il dileggio cui fu sottoposto il prigioniero poco prima di essere impiccato, come documenta il video che fu, del pari ingiustamente, diffuso via Internet, affinché tutti potessero vedere la fine ingloriosa del Rais. Più che un atto di giustizia, insomma, la condanna a morte di Saddam Hussein fu una crudele vendetta messa in atto dai suoi vecchi nemici interni.

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