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Aldo Moro, Lettere dalla prigionia

Aldo Moro, Lettere dalla prigionia

Com’è noto, Aldo Moro, Presidente della Democrazia cristiana, rapito da un commando delle Brigate rosse che annientò la sua scorta personale il 16 marzo del 1978, e ucciso il 9 maggio di quello stesso anno, durante la sua lunga prigionia scrisse numerose lettere, oltre a un memoriale, a diversi biglietti e a sette versioni diverse del suo testamento.

Per la precisione, le lettere scritte da Moro furono 78. Di queste, 26, che esistono ancora nella loro versione originale, sono state effettivamente consegnate ai loro destinatari, che furono, oltre alla moglie e ad alcuni stretti collaboratori dello statista, uomini politici (soprattutto colleghi di partito e amici), rappresentanti delle istituzioni, le più alte cariche dello Stato e il Papa Paolo VI.

Si ritiene, poi, che almeno altre 10 missive siano state recapitate ai rispettivi destinatari, nonostante questi abbiano sempre negato di averle ricevute.

Le rimanenti 42 lettere, alcune delle quali rinvenute soltanto in copia dattiloscritta, non sono mai state recapitate dai sequestratori ai loro destinatari: alcune censurate dagli stessi brigatisti, altre intercettate dalla polizia e occultate. E’ necessario precisare, tuttavia, che la maggioranza delle lettere che i brigatisti decisero di non consegnare corrisponde a versioni differenti di quelle consegnate.

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In un libro edito dalla Einaudi nel 2008, Miguel Gotor, docente di Storia moderna all’Università di Torino, ha raccolto e pubblicato in ordine cronologico tutte le lettere dello statista, facendole poi seguire da un saggio a loro commento, intitolato: “La possibilità dell’uso del discorso nel cuore del terrore: la scrittura come agonia”.

Un prezioso volume, attraverso il quale è possibile, mediante la lettura delle lettere e della loro analisi da parte dello studioso Gotor, ricostruire l’intera drammatica vicenda che ha cambiato la Storia del nostro Paese, scoprendo soprattutto come Moro non abbia mai smesso, durante i 55 giorni della sua segregazione, di “fare politica” e di sperare fino all’ultimo o quasi di avere salva la vita.

La lettura di questo libro, a mio parere, aiuta a fare chiarezza e a sgombrare il campo da almeno due luoghi comuni che attorniano il “caso Moro”: anzitutto, il dibattito sulla “trattativa Stato-Br” – ovvero se fosse giusto scendere a patti con i terroristi oppure non cedere al ricatto in nome della ragion di Stato – appare piuttosto fuorviante o quanto meno anacronistico oggi: perché proprio da alcune delle lettere scritte dal prigioniero, oltre che dal Memoriale, appare evidente che le trattative in realtà ci furono e furono almeno due, rigorosamente segrete (e che purtroppo, come ben sappiamo, non giunsero a buon fine): quella intrapresa dal Vaticano e quella tentata dai socialisti usando come tramite alcuni esponenti dell’organizzazione extraparlamentare denominata “Potere Operaio”.

Secondo: occorrerebbe liberarsi, e la lettura di questo libro aiuta a farlo, dell’idea piuttosto romantica, ma sbagliata, secondo cui Moro è stato un martire assimilabile ai condannati a morte della Resistenza, di cui, analogamente, ci sono rimaste le lettere, raccolte anch’esse in dei libri preziosi. Troppo diverse erano le condizioni psicologiche dei prigionieri partigiani e quelle dell’ostaggio nelle mani delle Br: i primi avevano scelto di combattere una guerra, che di fatto esisteva (eccome se esisteva), per la libertà, e di conseguenza erano preparati anche a morire: infatti nelle loro commoventi lettere si legge soprattutto la struggente necessità di spiegare a se stessi e ai propri familiari il significato del loro estremo sacrificio in nome della libertà. Aldo Moro, al contrario, non si sentiva in guerra né con le Br né con nessun altro: non era un combattente per la libertà e conseguentemente non era assolutamente preparato a morire. Forse è il caso di ricordare che questa notevole differenza è valsa a rendere ancora più atroce la sua lenta agonia. E solo tenendo sempre presente questa diversità di ordine psicologico nelle due tipologie di prigionieri, possiamo indignarci di fronte a taluni che hanno persino criticato Moro accusandolo, leggendo le sue lettere, di non aver saputo affrontare la morte coraggiosamente.

Quella di Aldo Moro fu, dunque, una lenta agonia, e le sue lettere, scritte in un cubicolo lungo tre metri e largo meno di uno, con all’interno soltanto una branda, un water fisiologico e un condizionatore per il ricambio dell’aria, testimoniano il suo incessante e disperato sforzo di sopravvivenza: scrivere per non morire.

Fin dalla prima lettera, recapitata il 29 marzo e indirizzata al ministro dell’Interno Cossiga, emerge la strategia politica del prigioniero: quella di far scendere a patti lo Stato con i suoi carcerieri. Strategia che egli perseguì fino all’ultimo con ostinatezza e che via via si fece più nitida e meno pretenziosa, passando da una generica richiesta di trattative a una più netta proposta di scambio fra ostaggi “come si usa in guerra o in guerriglia”, arrivando, verso la fine, a prospettare una soluzione che prevedeva il rilascio di un solo detenuto brigatista in cambio della sua salvezza.

Purtroppo tale strategia – che peraltro solo in parte coincideva con quella dei brigatisti, i quali miravano, soprattutto, a mettere in crisi lo Stato disarticolando le forze politiche – si scontrò duramente con la “linea della fermezza”, che prevalse all’interno del partito di Moro e del Partito comunista: una linea assolutamente contraria ad ogni trattativa (almeno pubblica) con i terroristi (v. per approfondire il “Diario dei 55 giorni”, nella seziona “Cronaca”). In nome di tale linea politica, che faceva prevalere la ragion di Stato, le lettere di Moro furono pubblicamente “disconosciute”, ritenute non moralmente e intellettualmente ascrivibili alla sua persona: in altre parole, le forze politiche dichiararono e sostennero pubblicamente che la volontà di Moro espressa negli scritti recapitati era coartata e corrispondeva a quella dei brigatisti, non era la sua.

Eppure mancò un soffio che a una soluzione si arrivasse, che Moro venisse rilasciato vivo: lo testimonia una delle ultime due lettere recapitate alla moglie il 5 maggio (“Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibile l’ordine di esecuzione…”), ma anche e soprattutto una pagina del Memoriale, che risale probabilmente al 3 maggio, in cui Moro addirittura ringrazia le Brigate rosse per aver deciso di risparmiargli la vita…

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Una lettura non soltanto interessantissima, perché parla in modo intelligente della vicenda italiana più importante degli anni Settanta e forse anche di tutta la Storia della nostra Repubblica, ma anche bella e coinvolgente. Perché le lettere di Aldo Moro, anche se lette oggi, quando le condizioni politiche e sociali sono profondamente mutate, colpiscono proprio per la loro bellezza. Anzi, come ha scritto Miguel Gotor nella prefazione al libro, esse sono tante cose insieme: belle, aspre, commoventi, lucide, spirituali, angoscianti, sottili, pungenti, amorevoli, disperate, vitali…

Si passa, infatti, dalle lettere che hanno un tono pacato e quasi meditativo, a quelle più sottilmente allusive o squisitamente politiche. Vi sono, poi, lettere che polemizzano fortemente con il proprio interlocutore, fino ad arrivare a quelle dai toni più aspri, quasi apocalittici, in cui Moro lancia anatemi e scaglia maledizioni (“Il mio sangue ricadrà su di loro”, riferito a Zaccagnini e a Cossiga).

Ma non mancano le lettere più profondamente umane, dalle quali emergono la salda fede cristiana di Aldo Moro e l’amore per i suoi familiari, fino a giungere all’ultima, più toccante, indirizzata alla moglie Eleonora: “Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.

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