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Come si fa una tesi di laurea

Come si fa una tesi di laurea

Nel 1977 uscì, pubblicata da Bompiani, la prima edizione di un libro destinato a fare epoca, ristampato innumerevoli volte e tradotto in molti paesi stranieri: “Come si fa una tesi di laurea”, saggio divulgativo scritto dal filosofo, medievalista, semiologo e massmediologo Umberto Eco, purtroppo recentemente scomparso.

Lo stesso Autore confessa, nella prefazione a una delle successive edizioni, di essere rimasto piacevolmente sorpreso per il grande successo di questo libro, da lui inizialmente scritto al solo scopo di evitare di ripetere le solite raccomandazioni ai suoi studenti nel momento in cui iniziavano a dedicarsi alla tesi di laurea. Da semplice manualetto rivolto agli studenti del professor Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea è diventato negli anni un “classico” letto un po’ da tutti: non solo dagli universitari che si accingono a concludere il loro ciclo di studi umanistici, ma anche dagli studenti di facoltà scientifiche e di qualunque anno di corso, nonché dai fuori corso e dagli studenti delle superiori e delle medie; persino dai docenti, dai ricercatori e, naturalmente, dai semplici curiosi.

Infatti, pur essendo stato concepito e scritto con riferimento alle facoltà umanistiche e, in particolare, a Lettere e Filosofia, il libro non tratta dei contenuti che deve avere una tesi di laurea, ma piuttosto dell’approccio mentale e dello stato d’animo che uno studente deve avere e mantenere durante tutto il periodo in cui si dedica alla tesi, a cominciare dalla scelta dell’argomento da trattare; nonché della metodologia che occorre seguire nella fase di ricerca, raccolta, selezione e studio del materiale, e del modo in cui, infine, bisogna scrivere una tesi di laurea, qualunque sia l’argomento di cui essa tratta. E lo scopo è quello di fornire un aiuto agli studenti, spesso abbandonati a loro stessi e disorientati nel mondo universitario.

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Nonostante il libro sia omogeneo nella sua struttura, può essere idealmente diviso in due parti: una prima teorica, in cui l’Autore tratta delle problematiche inerenti alla scelta dell’argomento della tesi di laurea e alle varie tipologie di tesi conosciute dall’ordinamento universitario italiano, e dà altresì consigli di carattere generale agli studenti; una seconda pratica, corredata da molti esempi e schede informative, in cui egli, invece, affronta tutti i problemi connessi alla preparazione della tesi, dalla metodologia di ricerca alla stesura dell’elaborato scritto.

In questa seconda parte dell’opera, molto si apprende circa “le fonti” del lavoro di ricerca (che sono costituite per lo più da libri), ma anche sul modo corretto di consultare i cataloghi delle biblioteche e di individuare nella maniera più veloce e proficua possibile i libri utili per la tesi in relazione all’argomento che è stato scelto. A questo proposito, Umberto Eco immagina di avere come lettore uno studente che non abbia ancora le idee chiare circa le fonti da ricercare, che non abbia a disposizione una biblioteca ben fornita perché abita in un piccolo centro di provincia e non possa neppure spostarsi più di tanto perché non ha molto tempo, ha poca disponibilità economica o è cagionevole di salute. Insomma, l’Autore ipotizza un caso abbastanza “disperato” (ma probabilmente non tanto raro) e si mette nei panni di uno studente che sembra avere scarse possibilità di fare un buon lavoro di ricerca. Ebbene, approntando una metodologia ragionata, fondata sulla corretta consultazione dei cataloghi della piccola biblioteca di provincia e sulla schedatura dei titoli che vengono mano a mano trovati con l’aiuto di repertori ed enciclopedie generali, Eco riesce a far sì che questo laureando dalle poche speranze in poco tempo si costruisca una più che dignitosa bibliografia che gli consente di procurarsi, con due soli viaggi nelle città più vicine, tutti i libri che gli occorrono per la sua tesi di laurea, ipotizzata con il titolo per niente semplice de Il concetto di metafora nei trattatisti del Barocco italiano.

Una volta costruita la bibliografia, che è lo “scheletro” della tesi di laurea, l’Autore passa ai consigli circa il modo di consultazione delle fonti reperite, che consiste essenzialmente nel metodo per “schedatura”, ossia nella creazione di vari tipi di schedari con i quali le opere – e le parti delle opere – selezionate con una lettura intelligente, devono venire catalogate per essere poi riconsultate nella fase di stesura dell’elaborato.

Molte sono poi le indicazioni circa il modo corretto di citare le fonti nella bibliografia e nelle note a pie’ di pagina della tesi, a seconda che si tratti di un libro, di un’enciclopedia, di un’opera di più autori, di una rivista o di un articolo di una rivista o di un giornale. Particolarmente preziose sono tali indicazioni, perché, a quanto pare, pochi secondo Umberto Eco – persino tra gli studiosi che hanno passato da tempo il periodo universitario – sanno come si cita correttamente una fonte fornendo al lettore tutte le indicazioni necessarie per trovare senza fallo il passo dell’autore che viene citato.

Si passa poi alla stesura dell’elaborato, con le indicazioni da seguire per la preparazione di un buon piano di lavoro che preceda la redazione scritta e le regole necessarie se si vuole scrivere una buona tesi, sia per quanto riguarda la forma grafica che per ciò che attiene all’esposizione: come bisogna scrivere una tesi, che tipo di linguaggio bisogna adoperare, qual è l’ordine da seguire nell’esposizione; ma anche come bisogna suddividere i capitoli, i paragrafi e i sottoparagrafi, come si scrivono i titoli e i sottotitoli, come si usano la punteggiatura, il virgolettato, il neretto e il corsivo, quando e come si inseriscono le citazioni di altri testi e come si indicano nel corpo del testo i nomi degli autori e delle opere che si citano.

In questa parte pratica, il libro è estremamente denso di regole e di esemplificazioni. Entrare nei dettagli sarebbe veramente troppo complicato e dispendioso per me. Passo allora ad illustrare, anche in tal caso in maniera succinta, i principali contenuti della prima parte dell’opera, quella che possiamo definire “teorica”.

La scelta dell’argomento di tesi

Per scegliere bene l’argomento della propria tesi di laurea, uno studente dovrebbe avere innanzitutto le idee chiare sulle diverse tipologie di tesi contemplate dall’ordinamento universitario italiano e sapere, dunque, che esistono due grandi categorie di tesi di laurea: ossia le tesi compilative e quelle sperimentali. Le prime si risolvono in un assemblaggio ragionato del materiale esistente, cioè di tutto quello che è già stato scritto e pubblicato su un dato argomento; le seconde, invece, si propongono di dimostrare un determinato assunto attraverso una fase sperimentale. Va da sé che le tesi di sperimentazione sono più impegnative e complesse e che si attagliano perfettamente alle discipline scientifiche. Ma non si creda che nelle materie umanistiche non vi sia spazio anche per tesi sperimentali e che non si possa addirittura “scoprire” qualcosa anche nel campo delle belle lettere: ad esempio un nuovo modo di leggere e capire un testo classico, l’individuazione di un manoscritto che getta nuova luce sulla biografia di un autore, una riorganizzazione e rilettura di studi precedenti che porta a maturare nuove idee su una corrente letteraria o su un autore, ecc, ecc.

Secondo punto importante: anche la tesi compilativa può non essere “meramente” compilativa. Il lavoro di assemblaggio di scritture precedenti su un dato argomento, se svolto in modo critico e intelligente, può essere impegnativo e molto importante scientificamente, perché può offrire una panoramica utile dal punto di vista informativo anche a uno specializzato del ramo.

La scelta tra l’affrontare una tesi sperimentale o compilativa dipende da molti fattori. In primo luogo da quanto, in termini di tempo, impegno e sacrificio, uno studente è disposto ad investire; ma non solo: anche i mezzi economici, purtroppo, contano, perché una tesi di tipo sperimentale può comportare l’acquisto di libri rari e preziosi oppure il viaggiare all’estero per consultare biblioteche straniere.

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La differenza fra tesi “sperimentale” e “compilativa” non è poi l’unica che uno studente deve avere ben presente. Occorre anche che egli decida se intende fare una tesi “panoramica” o “monografica”, “storica” o “teorica”. Mentre la contrapposizione fra tesi “scientifica” o “politica”, molto in voga nelle università italiane negli anni Settanta, era considerata artificiosa da Umberto Eco.

Andiamo con ordine. Una tesi è “panoramica” quando si propone di spaziare su argomenti molto vasti. E’ “monografica” quando tratta nello specifico un solo argomento ben individuato e circoscritto. Nonostante la prima tentazione di ogni studente sia quella di fare una tesi che parli di molte cose, Eco consiglia caldamente di circoscrivere il più possibile l’argomento di trattazione. Infatti, egli, nella sua esperienza di docente, ha visto molte tesi che trattavano di “brevi cenni sull’universo”, ossia talmente pretenziose per la vastità dell’argomento, da risultare vaghe, indeterminate e inevitabilmente incomplete e inconcludenti. Ciò perché uno studente poco più che ventenne non può e non è ancora in grado di portare a compimento opere di carattere universale, né è questo ciò che gli si chiede. Inutile e rischioso, quindi, volendo fare un esempio, avventurarsi in tesi del tipo La letteratura oggi. Molto meglio, restando in campo letterario: La letteratura italiana dal dopoguerra agli anni Sessanta. Ma forse ancora meglio: I romanzi di Beppe Fenoglio. L’ideale, tuttavia, sarebbe: Le diverse redazioni de “Il partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio.

Tesi “storica” o tesi “teorica”. In alcune discipline la scelta è obbligata. Una tesi non può che essere storica in materie come Storia delle dottrine politiche o Storia della letteratura tedesca. E non può che essere teorica in Fisica nucleare o Anatomia comparata. Ma ci sono altre discipline nelle quali occorre fare la scelta. Per esempio, una tesi in Sociologia, in Filosofia teoretica, in Filosofia del diritto, in Antropologia culturale, in Estetica o in Diritto internazionale può essere sia teorica che storica. Una tesi è teorica quando si propone di affrontare un problema astratto che può essere già stato o meno oggetto di altre riflessioni. Per esempio, una tesi teorica in Sociologia potrebbe essere: La nozione di “ruolo sociale”. Una in Filosofia teoretica potrebbe essere: Il concetto di libertà.

Trattare di un problema astratto può essere molto difficile per chiunque e a maggior ragione per uno studente universitario ancora inesperto. Anche qui vi è il rischio di sconfinare nei “brevi cenni sull’universo”. Si tenga presente, allora, che anche una tesi teorica può essere “storicizzata”: in altri termini, non è necessario che una tesi sia interamente teorica dal primo all’ultimo capitolo. Ben potrebbe, ad esempio, lo studente che vuole laurearsi in Filosofia teoretica con una tesi sul problema della libertà, fare una bella e approfondita panoramica su come questo problema sia stato trattato da vari filosofi, ad esempio compiendo un excursus da Kant ad Heidegger, e poi riservare l’esposizione delle sue idee originali sul concetto di libertà agli ultimi o anche soltanto all’ultimo capitolo della tesi.

Tesi “scientifica” o tesi “politica”. Una distinzione in auge dopo la contestazione del Sessantotto e per tutto il decennio successivo. Con l’espressione “tesi scientifica”, usata del tutto impropriamente, si intendeva, con un certo disprezzo, una tesi che trattava di un argomento esclusivamente “libresco” e non legato a temi politici o sociali. Si riteneva che le uniche tesi valide fossero quelle con implicazioni di carattere sociale o politico e si bollavano come “scientifiche” tutte le altre. Si trattava in realtà di una distinzione artificiosa, dal momento che tutte le tesi di laurea sono “scientifiche” perché si fondano su un lavoro di ricerca. Il metodo scientifico non è altro che quello della ricerca: anche una tesi “politica” o “sociale”, dunque, dovrà necessariamente fondarsi sulla ricerca e sarà pur sempre una tesi scientifica. Scelga pure, allora, lo studente, fra una tesi “libresca” o una “politica”, ma sappia che nell’uno o nell’altro caso lo aspetta un lavoro di ricerca e che quindi la sua tesi sarà “scientifica” secondo il corretto significato che ogni studioso serio deve attribuire a questo termine.

Il tempo necessario per fare una tesi

Quanto tempo ci vuole per fare una tesi di laurea? Secondo Umberto Eco non più di tre anni e non meno di sei mesi. Non più di tre anni, perché se in tre anni di lavoro effettivamente dedicato alla tesi non si è riusciti a concluderla, vuol dire: o che è stato scelto un argomento superiore alle proprie forze, o che si è degli incontentabili e che si vorrebbe racchiudere in una tesi di laurea l’intero scibile umano. O, infine, che si è entrati in uno stadio di dispersione nevrotica e si corre il rischio di non laurearsi più.

Non meno di sei mesi, perché anche una tesi compilativa modesta, che non superi le sessanta cartelle e che però sia allo stesso tempo dignitosa, richiede almeno il suddetto tempo per la ricerca e la raccolta del materiale, la lettura, la selezione e lo studio del materiale stesso, la stesura di un buon piano di lavoro e la redazione dell’elaborato scritto.

L’ideale, poi, sarebbe quello di scegliere l’argomento della tesi, concordandolo con quello che sarà il proprio relatore, già verso la fine del secondo anno di università. Rimangono così ben due anni per dedicarsi ad essa anche in maniera non continuativa, avendo anche tempo, mano a mano che si procede con gli esami e ci si chiarisce sempre di più le idee sui propri interessi e inclinazioni, di cambiare eventualmente argomento e di sceglierne uno che vada più a genio.

Le quattro regole auree

Qualunque sia il tipo di tesi che uno studente sceglie, egli dovrebbe sempre tener presente queste quattro semplici regole fondamentali:

1) Scegliere un argomento che risponda ai suoi interessi. Primo, perché così sarà più facile per lui lavorarci su; secondo, perché la tesi di laurea è un lavoro suo: è il primo importante lavoro di ricerca che egli affronta nella sua vita. Magari resterà anche l’unico, però sarà per sempre un lavoro suo e di nessun altro.

2) Scegliere un argomento per il quale le fonti siano reperibili, cioè a sua portata di mano. E’ inutile fare tesi su argomenti le cui fonti più importanti si trovano in una biblioteca della Nuova Zelanda se non si ha la possibilità di andare laggiù, cioè dall’altra parte del pianeta, per consultarle.

3) Scegliere un argomento le cui fonti siano maneggiabili, cioè a portata culturale del candidato. Che senso ha fare una tesi le cui fonti principali sono scritte in cinese o in sanscrito, se non si conoscono quelle lingue?

4) Scegliere un argomento che sia proporzionato alla propria esperienza di studente universitario. Insomma, quando si hanno ventuno o ventidue anni c’è ancora molto tempo per scrivere La letteratura oggi o Storia della filosofia greca

L’umiltà scientifica

Fare una tesi di laurea significa imparare a mettere ordine nelle proprie idee e ordinare dei dati: si tratta di un’esperienza di lavoro metodico, che porta alla costruzione di un “oggetto” che, in linea di principio, servirà anche agli altri. Per questo non è poi così importante l’argomento che si sceglie per la tesi, quanto l’esperienza di lavoro che essa comporta. Ricordi allora, lo studente impegnato in questa sua prima grande fatica di ricercatore, che le informazioni che egli raccoglie potranno un domani essere alla base di nuove idee, di nuovi spunti di ricerca e costituire un contributo, anche minimo, al cammino incessante della conoscenza umana. Addentrarsi nel mondo della ricerca equivale a mettersi in viaggio per una grande avventura: molto importante sarà, allora, armarsi non solo di tanta pazienza, ma anche della necessaria umiltà che tutti gli scienziati devono avere.

L’ “umiltà scientifica” è la consapevolezza che tutti possono insegnare qualcosa e che da chiunque noi possiamo imparare. Anche da un autore sconosciuto, mai citato da nessuno o che ci sembra oscuro o inutile. A tal proposito, Eco racconta l’aneddoto dell’abate Vallet, un monaco che verso la fine dell’Ottocento scrisse un “libercolo” su San Tommaso d’Aquino, meramente compilativo di scritti precedenti e privo di qualsiasi originalità. Quest’opera insignificante e dimenticata da tutti, da lui trovata per caso su una bancarella di libri usati e acquistata per pochi soldi proprio mentre stava facendo la sua tesi di laurea, gli diede uno spunto per risolvere un problema interpretativo nell’ambito della filosofia di San Tommaso e lo fece uscire da un’impasse che lo teneva bloccato da mesi.

Per più di vent’anni, Umberto Eco pensò di essere “in debito” con l’oscuro abate Vallet, che gli aveva dato la “chiave” per risolvere il suo problema e scrivere la tesi di laurea. Finché un giorno egli scoprì, riprendendo in mano il libro che ormai giaceva impolverato sullo scaffale più alto della sua biblioteca, che non era stato affatto Vallet a scrivere il concetto-chiave della sua tesi di laurea: quel pensiero lo aveva intuito Umberto Eco stesso, scavando nella sua mente e attribuendolo poi, per errore, all’abate Vallet. Ma ciò non toglie che se egli non avesse comprato e letto quel libro, la sua mente non si sarebbe mai illuminata. E’ stato l’abate, se non proprio a fornirgli direttamente l’idea, a fargliela partorire dentro il suo cervello, come una specie di ostetrico.

Così funziona il sistema delle idee: da una ne può nascere un’altra. Un concetto, da chiunque sia formulato, può non essere quello giusto, ma essere comunque in grado di smuovere qualcosa dentro la mente del ricercatore che altrimenti, senza quell’apporto, non avrebbe mai trovato la chiave per risolvere un problema.

C’è da augurarsi, allora, che tutti gli studenti incontrino nel loro cammino di ricerca – non solo durante la preparazione della tesi di laurea, ma anche nel loro futuro – tanti abate Vallet. E che un giorno, magari, essi stessi possano essere l’abate Vallet di qualcun altro.

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Questo dell’umiltà scientifica è il concetto più affascinante che ho trovato nel libro e che, in fondo, lo permea completamente. Mi pare che esso riposi sull’idea ancora più grande della conoscenza come patrimonio comune, nel senso che non solo tutti ne debbono poter fruire ma anche che tutti, almeno in linea di principio, possono contribuirvi con un apporto proprio, lasciando cadere anche soltanto una goccia nel mare immenso del sapere umano. La storia dell’abate Vallet mi ha fatto venire in mente una frase che amava ripetere un altro grande scienziato, anche lui recentemente scomparso e anche lui di nome Umberto, e cioè l’oncologo Veronesi: “Se io do un dollaro a te e tu dai un dollaro a me, ognuno di noi avrà un dollaro. Ma se io do un’idea a te e tu dai un’idea a me, ognuno di noi avrà due idee”. Anche questa credo sia umiltà scientifica.

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