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Il porto di Toledo

Il porto di Toledo

Nel 1975 Anna Maria Ortese pubblica per la prima volta “Il porto di Toledo”, un libro che passò a quei tempi quasi inosservato ma che in seguito (come spesso succede) è stato molto apprezzato dalla critica

Si tratta di un romanzo assai particolare e di non facile lettura, che risulta, anzi, piuttosto difficile da raccontare.

E’ una sorta di diario di una ragazza, dalla sua prima adolescenza (tredici anni) fino all’ingresso nell’età adulta. Il linguaggio è ricercatissimo, a metà strada fra la prosa e la poesia, e rende la narrazione delicata e sognante…

I fatti, narrati sempre in prima persona, sono le vicende familiari e personali della ragazza e si svolgono nella città spagnola di Toledo, dove la famiglia abita in una casa nei pressi del porto.

Ma non bisogna credere che leggendo questo romanzo si scopra effettivamente la città di Toledo com’è nella realtà: non si tratta di un romanzo realistico, ma piuttosto onirico: Toledo è una specie di “luogo dell’anima”, una città visionaria in cui hanno sede i sentimenti e gli affetti della ragazza, che interiorizza tutto ciò che negli anni vede accadere e persino le persone che le stanno intorno, facendole rivivere in una dimensione diversa, irreale e poetica, filtrata dalla sua scrittura…

Non è dunque un diario nel senso classico del termine, perché i personaggi, pur essendo reali, vivono in una dimensione di sogno e spesso cambiano persino il nome, anche più volte nel corso della narrazione…

I personaggi più importanti, oltre alla stessa narratrice, che ha nome Damasa, sono i genitori, chiamati affettuosamente Apo e Apa, il fratello, detto Rassa, gli amici Albe e Frisco, il direttore della rivista “Literaria Gazeta”, che costituisce una specie di guida spirituale per la giovane Damasa, che di volta in volta assume nomi diversi, tra i quali Maestro d’Armi, D’Orgaz oppure Capitano di Luce

Vi sono poi numerosi altri uomini, dai molteplici nomi, che si affacciano nella vita di Damasa, che tuttavia non riescono a spezzare l’involucro di sogno in cui la narratrice vive e dal quale osserva la realtà come attraverso un vetro…

La storia (se così può essere definita) si svolge negli anni Trenta, prima che l’orrore della realtà (ossia la guerra) sconvolga tutta l’Europa (Toledo non è solo la città spagnola, ma è una specie di simbolo: potrebbe essere una qualunque altra città europea) e contiene alcuni elementi autobiografici (ad es. la morte del fratello)…

ll tempo, che scorre molto lentamente, sembra quasi scandito dal rumore del mare, delle onde che si infrangono sui moli e sulle banchine del porto…

A mio parere, il senso de Il porto di Toledo va ricercato nella concezione della vita (e ancor più della Scrittura) che vi viene espressa (più che espressa, sarebbe meglio dire “adombrata”):

La vita è essenzialmente dolorosa e quindi la narratrice ha paura di immergervisi. Damasa si rifugia in una dimensione interiore, illudendosi in tal modo di rimanere immune alla sofferenza. In ciò una parte essenziale ha la Scrittura, che Damasa chiama più volte nel suo diario “Espressività”.

Con l’Espressività la giovane narratrice non si limita a rappresentare o a riflettere il mondo reale, ma ne crea essa stessa uno completamente nuovo, irreale, immaginario e dunque immortale, esente dal dolore…

Per fare un esempio: il racconto contenuto nel diario che riguarda il fratello morto, non è un semplice ricordo, non è solo il fratello che rivive nel ricordo, ma è una realtà completamente nuova: il fratello del racconto è una persona che nella realtà non è mai esistita, ma è stata creata dall’Espressività, e dunque è immortale (pur rimanendo sempre suo fratello).

La grande tesi di questo romanzo è, a mio avviso, che la Scrittura non è, come normalmente si crede, un tentativo di esprimere l’immagine che l’uomo si è fatto del mondo o un semplice riflesso del mondo, ma è un secondo mondo, una seconda realtà.

E mentre il primo mondo, cioè quello reale (o se vogliamo l’Espresso), è sofferenza, dolore e fugacità, quello secondario (cioè l’Inespresso, che viene espresso solo con la Scrittura) è immutabile, eterno e, soprattutto, è privo di dolore.

Temi difficili, ma senza dubbio affascinanti, quelli adombrati da Anna Maria Ortese ne “Il porto di Toledo”: un libro che si può apprezzare molto, però solo se si rinuncia ad avere una storia vera e propria e ci si abbandona al suo stile sognante e poetico, lasciandovisi cullare dolcemente per… le 554 pagine dell’edizione Adelphi  :)

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