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Tu vipera gentile

Tu vipera gentile

Nel 1972, Maria Bellonci, prestigiosa scrittrice e istitutrice del Premio Strega, che lei stessa si aggiudicò (post mortem) nel 1986 per “Rinascimento privato”, pubblicò “Tu vipera gentile“, un romanzo storico diviso in tre racconti ambientati in epoche diverse.

La Bellonci, com’è sempre nel suo stile, parte da una rigorosa ricostruzione storica delle vicende attraverso la documentazione pazientemente raccolta (soprattutto corrispondenza, documenti ufficiali dell’epoca e scritti degli storici coevi all’epoca oggetto della narrazione); ma tale ricostruzione storica le serve da cornice per poi calarsi all’interno delle vicende umane, spesso tragiche, cercando di scandagliare nel profondo gli animi e le personalità dei vari personaggi: e qui non può che entrare in gioco la sua abilità di narratrice: non più storica, ma scrittrice di romanzi vera e propria.

Il primo racconto del libro è intitolato “Delitto di Stato“.

Siamo nell’anno 1627, a Mantova, alla corte dei Gonzaga. Il Signore è il duca Vincenzo. Nel Palazzo dei Gonzaga viene rinvenuta casualmente una bara di cristallo, dimenticata da trecento anni, dove si trova il corpo imbalsamato di un certo Passerino Bonacolsi, primo nemico dei Gonzaga, ucciso da Luigi Gonzaga nel 1327 e chiuso in quella bara per assecondare una profezia: i Gonzaga regneranno sovrani finché un Bonacolsi avrà permanenza nella loro casa. Il duca Vincenzo decide di far trasportare il corpo di Passerino dal Palazzo alla cripta di Santa Barbara, per tumularlo con una più degna sepoltura e dopo aver fatto benedire la salma. Senonché, durante le operazioni di rimozione del corpo, al quale assistono solo pochi notabili, un religioso, una cortigiana e un buffone di corte, ci si accorge che la salma di Passerino era solo un fantoccio di legno e di stracci con una maschera di cartapesta. Subito il buffone Ferrandino inizia a sbeffeggiare i notabili presenti, a irridere la casata dei Gonzaga. Da un episodio comico come questo, potrà senz’altro derivare uno scandalo e il prestigio dei Gonzaga potrebbe risentirne di fronte al popolo… Ecco allora prevalere, in pochi attimi, la ragion di Stato su ogni altra cosa: il buffone viene trafitto da uno dei notabili della Casa Gonzaga e per salvare il buon nome della Signoria non si esita a riporre nella bara, al posto di Passerino, il corpo senza vita del buffone che, per un colpo di fortuna, è piccolissimo di statura com’era il vecchio Bonacolsi (detto “Passerino” appunto perché era piccolo) e nella bara ci entra perfettamente. Così, viene tumulato nella cripta di Santa Barbara, non il primo nemico storico dei Gonzaga, Passerino Bonacolsi, come tutti pensano e come reca l’iscrizione incisa all’esterno; ma un semplice buffone di corte, tale Ferrandino. Ma che importa? Nessuno lo saprà mai e il prestigio dei Gonzaga è salvo.

Il secondo racconto è intitolato “Soccorso a Dorotea“.

Siamo sempre a Mantova, alla corte dei Gonzaga, ma quasi due secoli prima, nel 1457. Dorotea Gonzaga è promessa sposa, a soli 8 anni, a Galeazzo Maria Sforza del Ducato di Milano, che di anni, invece, ne ha ben 13. A quei tempi si usava, tra i potenti, fidanzarsi in tenera età per suggellare alleanze tra le varie dinastie regnanti. Ancora una volta la ragion di Stato prevale sui sentimenti umani. Soprattutto perché, anche quando da parte di Dorotea si sviluppa un vero e proprio amore per Galeazzo, essa si trova ad essere rifiutata. Infatti, nell’arco dei successivi dieci anni, gli Sforza perderanno il loro interesse ad allearsi coi Gonzaga e il promesso matrimonio non verrà mai celebrato. Galeazzo rifiuterà di sposare Dorotea, peraltro accampando la scusa, piuttosto umiliante per i mantovani, di una supposta deformità alla colonna vertebrale che sarebbe stata una caratteristica di tutte le donne della Casa Gonzaga. In realtà, è ancora una volta la ragion di Stato che prevale.

Il terzo racconto è quello che dà il titolo al libro, “Tu vipera gentile“.

La vipera è nello stemma della Casa dei Visconti e la frase deriva da un’antica canzone. La vipera o “biscia” o “biscione” diventerà poi il simbolo della stessa città di Milano e la troviamo, ad esempio, anche nel logo dell’Alfa Romeo.

E’ il racconto più semplice, ma forse anche il più noioso dei tre. Si tratta di una carrellata molto veloce sui vari signori della Casa Visconti, a partire dall’arcivescovo Ottone, alla fine del XIII secolo, sino alla metà del XV, con la morte di Filippo Maria, che segna l’estinzione della Signoria viscontea.

Dunque negli anni Settanta i Visconti furono ampiamente celebrati, non solo nel famoso sceneggiato televisivo (a cui è già dedicata un’altra discussione del Forum) ma anche in questo bel libro di Maria Bellonci.

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